Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Mi sento un torturato» E Colasanto non va in aula

L’ex manager dell’Asl imputato per il delitto di Paola Labriola

- Di Angela Balenzano

Non si è sottoposto all’esame dinanzi al Tribunale di Bari, perché «deleterio per la sua salute psicofisic­a», l’ex dg della Asl Domenico Colasanto, imputato nel processo sulla morte della psichiatra barese Paola Labriola, uccisa da un paziente nel 2013 con 70 coltellate al rione Libertà.

Un esame dinanzi al Tribunale di Bari potrebbe «essere deleterio per la sua salute psicofisic­a». È per questa ragione che l’ex direttore generale della Asl di Bari, Domenico Colasanto, non si è presentato in aula: è imputato nel processo sull’omicidio della psichiatra barese, Paola Labriola, assassinat­a con 70 coltellate il 4 settembre del 2013 nel centro di salute mentale di via Tenente Casale, nel quartiere Libertà di Bari. Ad ucciderla fu un paziente.

Colasanto e altri cinque imputati sono sotto processo perché- secondo la ricostruzi­one dell’accusa- avrebbero omesso le cautele necessarie a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. Il pubblico ministero Baldo Pisani contesta a vario titolo i reati di morte come conseguenz­a di un altro reato, omissione di atti d’ufficio, falso e induzione indebita a dare o promettere utilità.

L’esame dell’ex direttore generale Colasanto era dunque previsto ieri ma il suo avvocato Vincenzo De Michele, per giustifica­re l’assenza dell’imputato ha depositato una nota nella quale spiega che «quando una tortura raggiunge il limite massimo, il corpo muore, o muoiono entrambi. Il corpo e l’anima dell’imputato odierno (nell’udienza di ieri, ndr) stanno per raggiunger­e l’ultimo limite. Dovere dell’assistitoè scritto ancoranon è solo difendere il suo assistito nel processo, ma difendere la sua integrità psico-fisica dal processo».

Ma non è tutto. Oltre alla nota, l’avvocato De Michele ha allegato uno scritto di Francesco Carnelutti (uno dei più eminenti avvocati e giuristi italiani) che risale al 1957 e si chiama: «Le miserie del processo penale». «Chi lo leggerà potrà intendere il significat­o delle rinuncia dell’imputato all’esame» ha detto ancora il difensore di Colasanto spiegando che è «deleterio per la salute psicofisic­a dell’imputato farlo sottoporre ad una, ancora fra “le miserie” del processo penale. Peraltro- dice ancora- dovere del difensore è tutelare l’imputato “secondo” la sua salute, non “contro” la sua salute. Un imputato assolto che la “tortura” del processo ha trasformat­o in un moribondo, non rende onore all’avvocato e decapita la Giustizia con la sua stessa spada».

Data la rinuncia dell’imputato, il processo è stato rinviato al 12 marzo: in quella data si sottoporrà all’esame l’altro imputato Alberto Gallo, ex funzionari­o dell’Asl, accusato di aver predispost­o i falsi Dvr (documenti di valutazion­e dei rischi). La famiglia di Paola Labriola, assistita dall’avvocato Michele Laforgia, si è costituita parte civile nel processo.

Per l’omicidio della psichiatra è stato condannato a 30 anni di reclusione il 40enne Vincenzo Poliseno, accusato di omicidio volontario. Una sentenza già confermata dalla Corte di Cassazione.

Nei primi due gradi di giudizio l’uomo era stato sottoposto a perizie psichiatri­che che ne avevano dichiarato la capacità di intendere e volere. La difesa aveva chiesto l’annullamen­to della sentenza di condanna sul presuppost­o che la seconda perizia fosse viziata.

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Chi sono Paola Labriola e Domenico Colasanto

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