Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Il diritto di opporsi» un film nobile ma scontato
Un titolo brutto per un bel film. sembra uno slogan dei cinque stelle. E’ anche questo un film di genere. Cinema giudiziario. Braccio della morte. Condannato, quasi sempre di colore, salvato in extremis da avvocato coraggioso. Qui l’avvocato è anche lui afroamericano. Colto ed educato tipo E anche il condannato è un bell’uomo (ricorda Harry Belafonte, per chi se lo ricorda). Si esprime bene. Poca rabbia e molta rassegnazione: se sei nero, sei colpevole da quando sei nato. Il film di genere si nutre di stereotipi. L’avvocato idealista, che ha studiato ad Harvard per assistere gli oppressi. La Equal Justice Initiative che fornisce assistenza legale a imputati che non possono permettersi le (esose) spese giudiziali dei processi americani. Qui invece della solita segretaria c’è un’attivista dell’associazione, giovane ragazza madre, mezza hippy, ottimista e di sinistra (direbbe L. Dalla). L’Alabama è razzista che più razzista non si può. Lo sceriffo e il procuratore che hanno portato alla condanna dell’innocente con un processo farsa, sono stati visti in innumerevoli film. I processi, sono ridicoli. Condanna preconcetta. Linciaggio di neri sotto altra forma. Giuria di soli bianchi. Testimoni corrotti e minacciati. Tutto già visto mille volte. Tutto così «costruito» secondo un’ottica convenzionale. Tutto così artefatto. Ma tutto così vero. E’ questa la forza del film. Sappiamo che è un prodotto a tesi ma è avvincente, nobile ed esemplare. Facciamo il tifo per avvocato e condannato. Ci indigniamo e soffriamo per le ingiustizie. Siamo emotivamente coinvolti perché la causa è giusta. Resta il fatto che l’America non ha ancora fatto i conti fino in fondo con il razzismo. E ciò malgrado la schiavitù sia stata abolita da secoli. Malgrado un Presidente di colore (what else?). Film come questo, di grande impegno civile, testimoniano il senso di colpa inconscio della nazione.