Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’annuncio di Mittal: «Rimaniamo a Taranto»
Il giudice di Milano ha rinviato al 6 marzo l’incontro per perfezionare l’intesa tra il gruppo franco-indiano e il governo Conte: «Lavoriamo per svolta green» I sindacati: siamo all’oscuro del piano
«L’azienda resterà a Taranto». È quanto affermato dai legali di Mittal all’udienza prevista per definire un accordo tra società e governo sul futuro dell’ex Ilva. Ma il giudice civile di Milano ha aggiornato l’udienza al 6 marzo. I sindacati chiedono di partecipare alla trattativa e il premier Conte risponde: «Hanno ragione».
Un altro rinvio. E soprattutto l’assenza di un piano chiaro in grado di rassicurare subito l’intera comunità tarantina. L’unico passaggio da registrare - che in fondo non è inaspettato - è quello confermato dai legali che assistono ArcelorMittal: «L’azienda resterà a Taranto». Finisce così un altro round dello scontro avviato dalla multinazionale franco-indiana a novembre scorso con la decisione di lasciare l’Italia della produzione d’acciaio. È stata rinviata, al prossimo 6 marzo, l’udienza sulla vertenza ArcelorMittalex Ilva. Lo ha deciso il giudice civile di Milano Claudio Marangoni, titolare del procedimento che riguarda l’ipotesi di addio avanzata lo scorso 4 novembre dal management aziendale.
I motivi del differimento? La richiesta congiunta delle parti per chiudere la vicenda entro fine febbraio. «ArcelorMittal resta a Taranto - ha detto Roberto Bonsignore, legale della multinazionale dell’acciaio, presente in aula con l’Ad Lucia Morselli - e in udienza abbiamo confermato l’impegno di mantenere la produzione. Nelle ultime settimane si sono raggiunte le basi per arrivare a un accordo; abbiamo fatto un lavoro importante e molto costruttivo». Le trattative interessano le modifiche all’intesa originaria (l’unica passata al vaglio delle parti sociali): si punta a variare i contenuti del contratto di affitto e dell’acquisizione degli stabilimenti. C’è da stabilire il parco finanziamenti e le eventuali modalità d’ingresso dello Stato tramite Cdp o di Invitalia. E poi il cosiddetto profilo green degli impianti e l’occupazione (tremila gli esuberi strutturali richiesti). A intesa raggiunta, quindi, ArcelorMittal ritirerebbe il suo atto di citazione con cui ha chiesto l’accertamento del recesso dal contratto e i commissari ex Ilva ritirerebbero il ricorso cautelare d’urgenza contro l’addio del gruppo.
Gli impianti sono in funzione, ma al minimo storico. Giornalmente vengono sfornate circa 12 mila tonnellate di acciaio con un trend annuale pari a 4,2 milioni di tonnellate. «Il rischio - ha commentato Rocco Palombella, segretario generale della Uilm - è che questo ennesimo rinvio possa appesantire ancora di più la situazione all’interno degli stabilimenti, già in forte difficoltà da tempo, a causa della grande incertezza sul futuro, dei frequenti incidenti e del blocco degli investimenti ambientali e manutentivi». «Non si conoscono i dettagli dell’ipotesi di accordo che ha portato al rinvio - hanno aggiunto Francesca Re David, numero uno della Fiom, e Gianni Venturi, segretario naresponsabile della siderurgia -, ma è davvero complicato pensare ad una trattativa seria se si parte, come circolato in alcune ricostruzioni, dal fissare le condizioni con cui il principale contraente potrebbe svincolarsi». Per Biagio Prisciano, segretario generale aggiunto della Fim Cisl Taranto-Brindisi, c’è poco da essere felici. Anche perché i dipendenti continuano a sopportare condizioni pesanti di lavoro. «Se continuano a parlarsi tra loro e non c’è interlocuzione con i sindacati, come possono avere un quadro chiaro? Francamente - ha concluso Prisciano - non so in che condizioni si sta trattando e cosa le parti, al tavolo, si stanno dicendo. Quando diciamo che si parte dall’accorzionale do al Mise di settembre 2018 non lo facciamo per nostalgia o una strenua difesa, ma perché è l’unico accordo che garantisce salute, ambiente e lavoro. Un altro mese di trattative significa che prosegue la cassa integrazione con i lavoratori coinvolti che percepiscono il 55% della loro retribuzione».
In tarda serata sono arrivate le parole del premier Giuseppe Conte: «I sindacati hanno tutto il diritto di essere aggiornati sulla trattativa. Si continua a lavorare e si lavora nella direzione che il governo ha sempre richiesto: una transizione energetica dello stabilimento, assicurare il livello occupazionale e il risanamento ambientale».
❞ Sembra essere tornati al Medioevo Lo ripeto ancora: è la fine dello stato di diritto
❞ L’esecutivo è benevolo verso l’azienda Attendo conoscere i documenti per capirne di più
è benevolo verso ArcelorMittal». Fa riferimento alla possibilità concessa alla multinazionale di ritirarsi a novembre pagando 500 milioni nel caso in cui non desse seguito all’accordo sugli investimenti.
«Questo ennesimo rinvio – dice Alessandro Marescotti, di Peacelink - prolunga la situazione di pericolo cui sono sottoposti i tarantini e gli abitanti dei Tamburi in particolare. Noi abbiamo scritto al presidente Conte, alla procura e al sindaco per informarli che c’è una valutazione di impatto sanitario, pubblicata su Epidemiologia e Prevenzione, che prevede un rischio per la salute inaccettabile al livello produttivo di 4.7 milioni, cioè quello attuale. Tutti conoscono questa situazione, se la produzione continua la popolazione dei Tamburi soffre e il governo, in sostanza, sta spingendo Mittal a provocare un danno. Il governo sta trattenendo una multinazionale che voleva andarsene ed è preoccupante che lo Stato ne garantisca la continuazione. Questa battaglia legale di cui ancora non si vede la conclusione sta generando un rischio creando una situazione di pericolo. Noi sottoporremo questa situazione alla corte europea».
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Se la produzione continua gli abitanti del quartiere Tamburi soffriranno ancora