Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Psichiatra uccisa È scontro tra avvocati
Omicidio Labriola, è polemica dopo la rinuncia dell’ex dg dell’Asl di deporre perché «torturato»
La psichiatra Paola Labriola fu uccisa il 4 settembre del 2013 nel centro di salute mentale di via Tenente Casale nel quartiere Libertà. Fu assassinata con 70 coltellate da un paziente, Vincenzo Poliseno, che è stato condannato a 30 anni di carcere con l’accusa di omicidio volontario. La sentenza è stata confermata anche in Cassazione. Ma c’è un altro risvolto della vicenda che è ancora al centro di un processo penale. E riguarda lo stato di sicurezza in cui lavorava la psichiatra barese assassinata sette anni fa. In questo filone giudiziario è imputato Domenico Colasanto, ex direttore generale dell’Asl di Bari, accusato - insieme ad altre cinque persone - di aver omesso le cautele necessarie a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. Il pm Baldo Pisani contesta a vario titolo i reati di morte come conseguenza di un altro reato, omissione di atti di ufficio, falso e induzione indebita a dare o promettere utilità.
L’altro giorno l’ex dg Domenico Colasanto ha rinunciato all’esame dinanzi al tribunale di Bari perché «deleterio per la sua salute psicofisica». Una decisione, comunicata dall’avvocato del manager Vincenzo De Michele, il quale per giustificare la rinuncia del suo assistito, ha depositato una nota, nella quale ha spiegato che «quando la tortura raggiunge il limite massimo, il corpo muore, o l’anima muore, o muoiono entrambi. Il corpo e l’anima dell’imputato odierno stanno per raggiungere l’ultimo limite. Dovere dell’avvocato non è solo difendere il suo assistito nel processo, ma difendere la sua integrità psico-fisica dal processo». Il processo è stato rinviato al 12 marzo.
Ieri sulla decisione del manager barese sono intervenuti i legali della famiglia di Paola Labriola, che come ben sapete si è costituita parte civile. «Ci auguriamo che la salute del dottor Domenico Colasanto sia integra e resti tale sino alla fine del processo. Purtroppo non possiamo dire la stessa cosa delle vittime: di Paola Labriola, barbaramente trucidata con più di 70 coltellate mentre prestava il suo lavoro di psichiatra per il servizio sanitario pubblico, e dei suoi familiari che attendono giustizia da oltre sei anni», hanno dichiarato gli avvocati Michele Laforgia e Paola Avitabile, difensori dei familiari di Paola Labriola. I legali della psichiatra uccisa, nel ricordare che «chi è imputato non può essere obbligato a parlare» e che è suo diritto «rinunciare all’interrogatorio anche quando lo ha chiesto lui, com’è avvenuto in questo caso», hanno stigmatizzato le motivazioni elaborate dal difensore dell’imputato, Vincenzo De Michele, il quale - come scritto in precedenza - ha definito il processo «una pena», spiegando che «il corpo e l’anima dell’imputato stanno per raggiungere l’ultimo limite».
Alla nota il legale ha allegato uno scritto del 1957 del giurista Francesco Carnelutti, «Le miserie del processo penale». «Chi lo leggerà - ha detto - potrà intendere il significato della rinuncia dell’imputato all’esame», ritenendo «deleterio per la salute psicofisica dell’imputato farlo sottoporre ad una, ancora, fra
“Le miserie del processo penale”». «Peraltro - ha aggiunto l’avvocato - dovere del difensore è tutelare l’imputato “secondo” la sua salute, non “contro” la sua salute. Un imputato assolto che la “tortura” del processo ha trasformato in un moribondo non rende onore all’avvocato e decapita la giustizia, con la sua stessa spada».
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Michele Laforgia Speriamo che la salute del dottor Colasanto sia integra
Aspettiamo che la giustizia faccia finalmente il suo corso