Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il critico
Lo scorso anno, Green Book ha vinto l’Oscar per il miglior film grazie alla sua ottimistica (o, secondo alcuni, eccessivamente patinata) interpretazione delle relazioni razziali nel Sud degli Stati Uniti. Il diritto di opporsi, di Daniel Cretton, è anch’esso tratto da una storia vera. Ma a differenza del film benedetto dall’Academy, ha una visione molto più tradizionale e «arrabbiata». Racconta la storia di un prigioniero di colore accusato ingiustamente di aver ammazzato una diciottenne e condannato a morte senza un briciolo di prova. Ma la vera star della storia fa l’avvocato e si chiama Bryan Stevenson. A lui è ispirato il protagonista e suo è il libro da cui è tratto il film.
La vicenda comincia all’inizio degli anni ’80, quando Stevenson, da poco laureato ad Harvard, invece di fare carriera in qualche mega studio legale di New York, sceglie di trasferirsi a Montgomery, in Alabama (lo Stato ancor oggi più razzista degli Usa), per assumere la difesa di quel prigioniero di colore.
Daniel Cretton non ha bisogno di calcare la mano per mettere in scena un legal thriller seducente, con un tris di campioni come Michael B. Jordan, Jamie Foxx e Brie Larson. Qui gli ingredienti per un film di impegno civile ci sono tutti. Colore della pelle, discriminazione, sistema giudiziario nemico, un verdetto ingiusto per una persona che agli occhi della società ha il Dna criminale, «colpevole» di essere afroamericano e di mettere in dubbio la superiorità dell’uomo bianco.
La regia dà il meglio di sé nel descrivere la pressione incessante della minaccia di esecuzione capitale sul protagonista e sugli altri detenuti. Toccante è la messa a morte del timido veterano del Vietnam. Una sequenza agghiacciante e una sorprendente accusa cinematografica della crudeltà della pena di morte. Nonostante la sceneggiatura un po’ ingenua e i dialoghi a volte stereotipati, resta un film dalle intenzioni lodevoli, se vogliamo scontato, ma che sprizza un abbondante spirito democratico. Sweet Home Alabama.