Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Boss, broker e borghesia Così la mafia foggiana si è appropriata della città
Dentro queste organizzazioni ci sono broker e oscure figure che introducono i boss di Capitanata negli affari della ‘ndrangheta Di qui la conversione dalle campagne alla città
Le mafie sono un fatto sociale, non soltanto economico o morale o antropologico. Sociale, quindi frutto della società che le partorisce o le interiorizza. E come tutti i fatti sociali risentono della civiltà in cui prosperano e la modificano di conseguenza. Il 2019 appena terminato ha portato alla ribalta nazionale la complessa dimensione delle mafie foggiane. Almeno quattro aggregazioni, con diversi livelli e tassi di specializzazione. La mafia di Cerignola, che da campestre si trasforma inesorabilmente in mafia urbana, mantenendo il tratto feroce, di rapina, del crimine rurale. Quella di San Severo, che armi alla mano e grazie a un clan intraprendente come il Nardino si spinge fino a tentare di colonizzare la costa adriatica da Termoli a Rimini. Quella del Gargano dei Romito e dei Li Bergolis, che parte da Manfredonia, sale e scende presso Rodi, per importare marijuana e armi dai Balcani e dall’Albania. Quella di Foggia, del capoluogo - dei Sinesi, Francavilla, Moretti, Pellegrino, Lanza, Trisciuoglio, Prencipe, Tolonese - che assomiglia alla nervosa coda di una lucertola staccata dal corpo ormai esanime della Camorra di Cutolo.
Sotto o dentro queste mafie vi sono broker, oscure e prestigiose figure criminali, che favoriscono l’ingresso della Capitanata negli affari di imponenti famiglie di Ndrangheta come i Mancuso di Limbadi: figure sinistre, questi mezzani foggiani, che hanno messo a disposizione alberghi e altre strutture per ospitare summit nei quali si decideva come e dove importare cocaina dal Sudamerica, con i calabresi a farla da padroni. Potrebbero essere figure chiave per spiegare il processo di ndranghetizzazione, di adesione ad un modello organizzativo alla calabrese, in atto nel capoluogo e sul Gargano.
Questo è il quadro nel quale agiscono le batterie della Società Foggiana, come viene chiamata in gergo la camorra cittadina dalla sua fondazione. Organismi pulsanti di una mafia che inizia il suo percorso con il battesimo di un Raffaele Cutolo in declino e con patti di non belligeranza con i baresi e con i salentini. Una mafia che non ha esitato a fare strage - famosa quella del Bacardi – e a uccidere chi si rifiutava di entrare nel suo giro imprenditoriale e politico amministrativo. Di recente il procuratore capo della Direzione Nazionale Antimafia, Cafiero De Raho, ha parlato, riferendosi alla mafia della città di Foggia, dell’esistenza di una borghesia cittadina che la sostiene e la favorisce. Non di mafia borghese, ma di borghesia mafiosa si tratta: di uno strato consistente e robusto della città che molti considerano sano e che invece è tutto dentro il crimine organizzato. Si tratta di pezzi di società foggiana integrati con la Società Foggiana, con la mafia più propriamente detta. E come la mafia, che si dà un’organizzazione comune, anche questa borghesia mafiosa potrebbe avere una cabina di regia, un luogo dove pensa e agisce, una massoneria, magari, o qualcosa di simile a un sindacato del crimine: diviso per categorie, comparti, competenze, relazioni, segmenti produttivi e tesorerie. Politici, amministratori pubblici e privati, imprenditori, avvocati, notai, commercialisti, consulenti, agronomi, agenti immobiliari, dirigenti di banca, latifondisti, palazzinari, medici, farmacisti, ultras. Figure imprescindibili per far viaggiare l’economia e la politica cittadina mafiosizzandole a danno del libero mercato e della democrazia.
Non a caso un altro procuratore capo, Giuseppe Volpe della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, ha sottolineato il contributo offerto da quegli imprenditori che hanno cominciato a raccontare cos’è diventata la Società Foggiana:
come aggancia le imprese, come tende a farle sue, come si nutre degli amici insediati nella cosa pubblica. Sarebbe, il condizionale è obbligatorio, sarebbe bello se accanto agli imprenditori, cominciassero a parlare i politici. Quelli sottoposti a ricatto.
Quelli che si sono rivolti alle batterie per cercare consenso. Quelli che sono nati dentro il consenso mafioso. Quelli del voto di scambio che importuna gli appalti, che insozza le gare, che allontana gli investitori. O semplicemente quelli che sanno, perché hanno visto, hanno sentito, hanno intuito. Per sussulto morale, dovrebbero cominciare a parlare. Perché i tassi di crescita della città raccontano povertà e disoccupazione, esodo giovanile e decrescita infelice. Decrescita, di cui sono causa anche gli attentati dinamitardi, volti a tenere la città che produce sotto il ricatto terroristico di una mafia che parla col tritolo e di una borghesia mafiosa che tace o ghigna di nascosto.
Questo vuol dire, in definitiva, che a Foggia la mafia non è un mero fatto sociale: ma un fatto politico, affaristico e sociale, come a Cerignola, a Manfredonia, a Mattinata ed in tutti i Comuni pugliesi sciolti per infiltrazione mafiosa.
La cabina di regia
Le cosche potrebbero avere una cabina di regia, un luogo dove pensare e agire