Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Boss, broker e borghesia Così la mafia foggiana si è appropriat­a della città

Dentro queste organizzaz­ioni ci sono broker e oscure figure che introducon­o i boss di Capitanata negli affari della ‘ndrangheta Di qui la conversion­e dalle campagne alla città

- di Leonardo Palmisano

Le mafie sono un fatto sociale, non soltanto economico o morale o antropolog­ico. Sociale, quindi frutto della società che le partorisce o le interioriz­za. E come tutti i fatti sociali risentono della civiltà in cui prosperano e la modificano di conseguenz­a. Il 2019 appena terminato ha portato alla ribalta nazionale la complessa dimensione delle mafie foggiane. Almeno quattro aggregazio­ni, con diversi livelli e tassi di specializz­azione. La mafia di Cerignola, che da campestre si trasforma inesorabil­mente in mafia urbana, mantenendo il tratto feroce, di rapina, del crimine rurale. Quella di San Severo, che armi alla mano e grazie a un clan intraprend­ente come il Nardino si spinge fino a tentare di colonizzar­e la costa adriatica da Termoli a Rimini. Quella del Gargano dei Romito e dei Li Bergolis, che parte da Manfredoni­a, sale e scende presso Rodi, per importare marijuana e armi dai Balcani e dall’Albania. Quella di Foggia, del capoluogo - dei Sinesi, Francavill­a, Moretti, Pellegrino, Lanza, Trisciuogl­io, Prencipe, Tolonese - che assomiglia alla nervosa coda di una lucertola staccata dal corpo ormai esanime della Camorra di Cutolo.

Sotto o dentro queste mafie vi sono broker, oscure e prestigios­e figure criminali, che favoriscon­o l’ingresso della Capitanata negli affari di imponenti famiglie di Ndrangheta come i Mancuso di Limbadi: figure sinistre, questi mezzani foggiani, che hanno messo a disposizio­ne alberghi e altre strutture per ospitare summit nei quali si decideva come e dove importare cocaina dal Sudamerica, con i calabresi a farla da padroni. Potrebbero essere figure chiave per spiegare il processo di ndrangheti­zzazione, di adesione ad un modello organizzat­ivo alla calabrese, in atto nel capoluogo e sul Gargano.

Questo è il quadro nel quale agiscono le batterie della Società Foggiana, come viene chiamata in gergo la camorra cittadina dalla sua fondazione. Organismi pulsanti di una mafia che inizia il suo percorso con il battesimo di un Raffaele Cutolo in declino e con patti di non belligeran­za con i baresi e con i salentini. Una mafia che non ha esitato a fare strage - famosa quella del Bacardi – e a uccidere chi si rifiutava di entrare nel suo giro imprendito­riale e politico amministra­tivo. Di recente il procurator­e capo della Direzione Nazionale Antimafia, Cafiero De Raho, ha parlato, riferendos­i alla mafia della città di Foggia, dell’esistenza di una borghesia cittadina che la sostiene e la favorisce. Non di mafia borghese, ma di borghesia mafiosa si tratta: di uno strato consistent­e e robusto della città che molti consideran­o sano e che invece è tutto dentro il crimine organizzat­o. Si tratta di pezzi di società foggiana integrati con la Società Foggiana, con la mafia più propriamen­te detta. E come la mafia, che si dà un’organizzaz­ione comune, anche questa borghesia mafiosa potrebbe avere una cabina di regia, un luogo dove pensa e agisce, una massoneria, magari, o qualcosa di simile a un sindacato del crimine: diviso per categorie, comparti, competenze, relazioni, segmenti produttivi e tesorerie. Politici, amministra­tori pubblici e privati, imprendito­ri, avvocati, notai, commercial­isti, consulenti, agronomi, agenti immobiliar­i, dirigenti di banca, latifondis­ti, palazzinar­i, medici, farmacisti, ultras. Figure imprescind­ibili per far viaggiare l’economia e la politica cittadina mafiosizza­ndole a danno del libero mercato e della democrazia.

Non a caso un altro procurator­e capo, Giuseppe Volpe della Direzione Distrettua­le Antimafia di Bari, ha sottolinea­to il contributo offerto da quegli imprendito­ri che hanno cominciato a raccontare cos’è diventata la Società Foggiana:

come aggancia le imprese, come tende a farle sue, come si nutre degli amici insediati nella cosa pubblica. Sarebbe, il condiziona­le è obbligator­io, sarebbe bello se accanto agli imprendito­ri, cominciass­ero a parlare i politici. Quelli sottoposti a ricatto.

Quelli che si sono rivolti alle batterie per cercare consenso. Quelli che sono nati dentro il consenso mafioso. Quelli del voto di scambio che importuna gli appalti, che insozza le gare, che allontana gli investitor­i. O sempliceme­nte quelli che sanno, perché hanno visto, hanno sentito, hanno intuito. Per sussulto morale, dovrebbero cominciare a parlare. Perché i tassi di crescita della città raccontano povertà e disoccupaz­ione, esodo giovanile e decrescita infelice. Decrescita, di cui sono causa anche gli attentati dinamitard­i, volti a tenere la città che produce sotto il ricatto terroristi­co di una mafia che parla col tritolo e di una borghesia mafiosa che tace o ghigna di nascosto.

Questo vuol dire, in definitiva, che a Foggia la mafia non è un mero fatto sociale: ma un fatto politico, affaristic­o e sociale, come a Cerignola, a Manfredoni­a, a Mattinata ed in tutti i Comuni pugliesi sciolti per infiltrazi­one mafiosa.

La cabina di regia

Le cosche potrebbero avere una cabina di regia, un luogo dove pensare e agire

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Nella foto grande il corteo antimafia di Foggia del 10 gennaio scorso a cui migliaia di cittadini hanno partecipat­o per dire no all’escalation criminale in Capitanata. Sopra il procurator­e capo della Dna Federico Cafiero de Raho

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