Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Condannata all’ergastolo per l’omicidio del marito Adesso lavora al palazzo di giustizia
Condannata all’ergastolo LECCE per avere ammazzato il marito con una flebo di eroina, da alcune settimane lavora al servizio della giustizia facendo fotocopie al primo piano del Tribunale di Lecce, proprio per quei magistrati specializzati nei reati contro le fasce deboli e le violenze sulle persone, che anni fa la indagarono e poi arrestarono per uxoricidio.
Lei è Lucia Bartolomeo, infermiera di Taurisano, in provincia di Lecce, da quasi 13 anni ristretta nel penitenziario salentino con l’accusa di omicidio volontario, perché accusata di avere ucciso il marito Ettore Atta nasi o, somministrandogli una flebo letale nel letto di casa, la notte tra il 29 ed il 30 maggio 2006. Morte che la donna predisse in alcuni sms inviati al suo amante, ma per la quale la stessa Bartolomeo si è sempre professata innocente.
La donna, insieme ad altri tre detenuti in regime di semilibertà, ha avviato un percorso riabilitativo presso il palazzo di giustizia, che le permette di raggiungere il nuovo posto di lavoro per quattro ore al giorno e senza alcuna scorta, in virtù di quanto sancito dall’articolo 21 della legge sull’ordinamento penitenziario. Articolo che prevede, per fini rieducativi e salvo casi di impossibilità, l’opportunità per gli internati ed i condannati - anche all’ergastolo, purché abbiano scontato almeno 10 anni di detenzione e non stiano scontando un ergastolo ostativo, come nel caso di mafiosi o terroristi - di essere assegnati al lavoro all’esterno del luogo di detenzione. Anche se fuori dal carcere, restando invariato il loro status di detenuto, possono comunicare con gli altri solo per motivi attinenti le mansioni lavorative loro assegnate.
Il provvedimento di ammissione al lavoro, proposto dall’avvocato Leopoldo Di Nanna alla direzione carceraria del penitenziario leccese, è stato accolto dal magistrato di sorveglianza Michela De Lecce, che recentemente aveva già concesso alla Bartolomeo un permesso premio, consentendole di riassaporare quella libertà che le mancava dal 28 maggio 2007, giorno in cui fu arrestata dai poliziotti del commissariato di Taurisano per l’omicidio del marito.
Inizialmente il decesso di Ettore Attanasi, alla data dei fatti di 34 anni, fu archiviato come morte naturale. Un’infermiera del 118, rivelando che l’uomo aveva un tumore, fece emergere i primi sospetti che poi sfociarono in un esposto in procura. Disposta la riesumazione del corpo, l’autopsia rivelò al suo interno tracce di eroina: il fabbro era stato ucciso da un’overdose. I sospetti così caddero subito sulla moglie infermiera, che in quel periodo somministrava flebo al congiunto malato. E su quei messaggi che la donna inviò all’uomo con cui avrebbe voluto rifarsi una vita, preannunciando la morte del povero marito.