Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Langer, Leogrande e l’Albania: lezione di metodo
Il dialogo a distanza tra due intellettuali «fratelli» la cui lezione ci manca molto
Due percorsi paralleli, con molti punti in comune: le radici nel cattolicesimo sociale, la collocazione politica nella sinistra critica, la concezione del giornalismo come testimonianza, la passione per i Balcani e soprattutto per l’Albania, perfino la fine prematura e improvvisa. Tra l’altoatesino Alexander Langer (1946-1995), militante di Lotta Continua e poi dei Verdi, europarlamentare, giornalista sempre pronto a correre in prima linea per raccontare le grandi crisi europee del mondo ex comunista, e il tarantino Alessandro Leogrande (1977-2017), giornalista e scrittore, a lungo collaboratore di questo e altri giornali e soprattutto vicedirettore de Lo Straniero al fianco di Goffredo Fofi (che li ha conosciuti bene entrambi), c’è stato quasi un passaggio di testimone, un riconoscersi a distanza: il più giovane Leogrande, che aveva solo 18 anni quando Langer mise fine per scelta alla propria vita, ritrovò in seguito negli scritti e nel percorso di vita dell’altro più di un’assonanza, al punto da sviluppare con la sua figura una sorta di dialogo a distanza.
Su quel dialogo, su quell’intreccio di esperienze l’insegnante e giornalista Giovanni Accardo (1962), siciliano di nascita ma bolzanino per scelta di vita e di lavoro da molti anni, ha realizzato un volume prezioso edito da Alphabeta Verlag (Merano 2019, pp. 278, euro 16): s’intitola Dialogo sull’Albania, è firmato da Langer e Leogrande perché raccoglie i loro scritti sul tema, curato da Accardo che lo introduce, mentre Fofi firma una commossa prefazione nella quale mette Alex e Alessandro
tra i suoi «fratelli maggiori». Ovvero, persone da cui lui, anagraficamente più anziano, ha imparato molto trovando in loro dei modelli di rigore intellettuale, coraggio etico, curiosità analitica. Una schiera nella quale ritroviamo altri nomi che diranno molto a chi è stato giovane tra anni Settanta e Ottanta, da Mauro Rostagno a Fabrizia Ramondino e Luca Rastello, tutti «morti prematuramente e in modi diversamente tragici»: «la mia pleiade di fratelli maggiori - scrive Fofi -, anche quando erano molto più giovani di me, come Alessandro in particolare». E in Alex e Alessandro, «che non si sono mai incontrati in vita», Fofi vede due fratelli spirituali: perché Alessandro è stato l’«ideale continuatore di Alex».
Accardo, nel suo testo e attraverso la scelta dei loro articoli, fornisce in un certo senso le prove di questa continuità, a cominciare da una frase di Leogrande: «Per tutta la vita Alexander Langer non ha fatto altro che saltare muri, attraversare confini culturali, nazionali, etnici, religiosi». Esattamente come Leogrande, che più volte scrisse di lui e gli dedicò quattro puntate della sua rubrica Passioni, su Radio Tre. Da lui riprese quell’inesausto indagare sulla «transizione» dell’Est Europa, a cominciare appunto dall’Albania.
Langer ne scrive tra il 1990 e il 1994 restituendoci i giorni della caduta del regime, la difficile costruzione della democrazia, la fuga in Italia di molti albanesi. E di tutti loro, degli studenti che manifestano contro il regime, di chi cerca di scappare verso l’Europa, di chi combatte una difficile impresa di ricostruzione nazionale, ci restituisce le voci con attenzione, rispetto, pìetas, voglia di capire e di rendersi utile, lui in missione per conto dell’europarlamento. Leogrande invece comincia a scriverne nel 2000, e lo farà fino alla fine, raccontando della società criminale di Valona e della corruzione dilagante, dei viaggi dei migranti e di quelli degli scafisti, indagando sul passato oscuro e ambiguo dei presunti «eroi» dell’Albania libera, come lo scrittore Ismail Kadare, o sulla strage della Kater i Rades. Entrambi ci hanno sempre ricordato quali doveri l’Italia e l’Europa avessero nei confronti dei «vicini», e quali opportunità potessero cogliere. Invano. Altro avrebbero potuto dirci sull’Albania di questi giorni, sulla Tirana dei grattacieli «italiani».
Facendo come loro, giornalisti che hanno sempre consumato le scarpe per andare di persona a conoscere fatti e persone, Accardo va ora in giro per l’Italia, anche in tempi di coronavirus, per testimoniare quello che da loro ha imparato. Ieri a Pescara, oggi a Taranto, poi Lecce, Bari; in questo modo, per usare un’espressione che entrambi avrebbero apprezzato, la «parola» si semina meglio.