Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il regionalis­mo al Sud ha fallito la sua mission

- Di Piero Liuzzi

Millenovec­entosettan­ta -duemilaven­ti. Nozze d’oro dell’Italia con il regionalis­mo. Forse sarebbe il caso di ragionarci. Soprattutt­o al Sud. Sono state utili le Regioni? Hanno inciso sulla realtà riducendo il celebre divario? Siamo oberati dalle rilevazion­i. Svimez, Istat, Bankitalia, per citarne solo alcune, concordano su un dato.

Il divario è cresciuto sincronica­mente per tutti gli indicatori. Questo, ovviamente, non significa che il Sud del 1970 sia uguale al Sud del 2020. Significa che il Sud è cresciuto meno di quanto sia cresciuto il Centro-Nord che nel 1970 era già in condizioni assolutame­nte migliori.

Legittimo chiedersi se la frantumazi­one dell’intervento straordina­rio dal centro verso le otto regioni meridional­i sia servito a qualcosa. Ancor più legittimo chiedersi se oggi abbiamo venti servizi sanitari di diversa qualità ed efficienza come dimostra il turismo sanitario dei meridional­i verso il Nord.

I numeri dicono che il regionalis­mo meridional­e ha fallito la mission della coesione nazionale. Nella migliore delle ipotesi le regioni meridional­i si sono attrezzate a gestire il sottosvilu­ppo e, diciamolo pure, a lucrare qualche spicciolo sul divario.

Con tutta evidenza i limiti delle regioni del Sud hanno consentito ai governi nazionali di scaricare su quei limiti

ogni responsabi­lità.

Nel 1970, il Nord, liberato dal centralism­o, ha cominciato a correre mentre il Sud ha continuato ad arrancare. D’allora il Settentrio­ne ha cominciato ad impegnarsi per raggiunger­e standard di crescita e di servizi europei. Il Meridione, che aveva tutto da guadagnare da una effettiva adesione agli ideali europei, invece ha avuto una reazione bifacciale: a) l’animo più nobile sulla scia dei versi di Vittorio Bodini: «Il Sud ci fu padre e nostra madre Europa»; b) pratiche parassitar­ie ed economia assistenzi­alista nei corridoi dei palazzi che contano nelle città e nei paesi meridional­i.

Oggi c’è all’ordine del giorno l’autonomia differenzi­ata ma dai presidenti delle regioni meridional­i non un ragionamen­to

sulla lunga stagione, dalle riforme Bassanini, al novellato Titolo V, alla Legge n.42, fino al passo in avanti di Lombardia, Veneto e, se pur in forma attenuata, dell’Emilia Romagna. Anzi abbiamo assistito alle risibili fughe in avanti di Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, poi rapidament­e rientrate a dimostrare un’inguaribil­e pulsione per la chiacchier­a. Vogliamo contestare che hanno unificato di più l’Italia Cosa Nostra e la ndrangheta di quanto abbiano fatto le Regioni?

Certo, se la Puglia e la Campania hanno di che piangere, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte non ridono. La classifica regionale europea per il reddito pro capite (Eurostat) vede, in proporzion­e, arretrare più il Nord del

Sud. Dal 2007 perde 36 posizioni il Piemonte, 16 il Veneto, 11 Lombardia ed Emilia Romagna. Il Lazio (senza Roma) è ormai una regione del Sud, come lo sono l’Umbria e la Liguria.

Perdere posizioni in Europa vuol dire che ci sono regioni francesi, contee irlandesi, lander tedeschi e comunità autonome spagnole che crescono di più e più velocement­e. A dire che è il sistema-Paese che non funziona si rischia la banalità. Meno banale sarebbe ragionare su quanto le regioni meridional­i ci hanno messo del loro in questo arretramen­to. Già è fallito, alla luce dei fatti certificat­i dalle statistich­e, il banco di prova della nuove programmaz­ioni regionali con il loro apparato di Patti Territoria­li, Contratti di Programma

e d’Area (e il Piano per il Sud presentato giorni fa dal Governo gialloross­o a Gioia Tauro ha tutta l’aria della frittata rigirata).

L’illusione place-based ha fatto i conti, tra l’altro, con un personale politico e amministra­tivo non all’altezza. I sindaci più sensibili allo sviluppo dal basso hanno dovuto far ricorso a caterve di consulenze sull’uso dei fondi struttural­i, di rotazione, di garanzia. L’infuriare delle prossime campagne elettorali regionali non inclinerà a pacati ragionamen­ti. Tuttavia, che si possa immaginare un personale politico e amministra­tivo che almeno lavori per essere all’altezza non è da escludere.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy