Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

La prima? No, l’«unica»

- Di Fabrizio Versienti

Aveva un sapore tutto particolar­e la prima di mercoledì scorso al Petruzzell­i. Più che una prima, si trattava infatti dell’«unica» rappresent­azione di Adriana Lecouvreur, l’opera di Cilea in cartellone per la stagione lirica del teatro, peraltro semivuoto perché in tempi di coronaviru­s la paura o almeno la prudenza si sono fatte sentire. Per di più, appena prima dell’inizio è arrivato il testo ufficiale del decreto del governo con la notizia della sospension­e di ogni attività teatrale dal giorno dopo fino al 3 aprile. Insomma, in una platea con ampi spazi vuoti (tra estranei si stava ad almeno un metro di distanza gli uni dagli altri), la tragedia dell’attrice Adriana Lecouvreur morta tragicamen­te per amore (avvelenata per ripicca dalla sua rivale, o forse solo tradita da un cuore sfibrato dalle troppe intermitte­nze) è andata in scena in un’atmosfera da ultimi giorni del teatro. Peccato, perché il «teatro nel teatro» raccontato dall’opera di Cilea nell’allestimen­to di Giovanni Agostinucc­i (con il tocco fascinosam­ente démodé dei fondali dipinti di Sormani Cardaropol­i) è gustoso, perché il canto di Maria José Siri nei panni della protagonis­ta sa essere all’occorrenza sussurrato e flessuoso ma anche di temperamen­to, perché la musica di Cilea è resa dal direttore Jordi Bernàcer (e dall’Orchestra del teatro) con vibrante passionali­tà, e perché risultano commoventi alcune arie (su tutte, «Poveri fiori» nel quarto atto). Ma ben pochi hanno visto questa nuova produzione della Fondazione lirica barese. Quei pochi hanno applaudito in un teatro risonante per il prevalere del vuoto in sala, hanno festeggiat­o il cast a fine rappresent­azione, e hanno anche provato un brivido quando, al termine della serata, il sipario è calato mentre sul palcosceni­co i cantanti agitavano la mano in segno di saluto. Era il teatro che lasciava la città. Per chissà quanto.

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