Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La prima? No, l’«unica»
Aveva un sapore tutto particolare la prima di mercoledì scorso al Petruzzelli. Più che una prima, si trattava infatti dell’«unica» rappresentazione di Adriana Lecouvreur, l’opera di Cilea in cartellone per la stagione lirica del teatro, peraltro semivuoto perché in tempi di coronavirus la paura o almeno la prudenza si sono fatte sentire. Per di più, appena prima dell’inizio è arrivato il testo ufficiale del decreto del governo con la notizia della sospensione di ogni attività teatrale dal giorno dopo fino al 3 aprile. Insomma, in una platea con ampi spazi vuoti (tra estranei si stava ad almeno un metro di distanza gli uni dagli altri), la tragedia dell’attrice Adriana Lecouvreur morta tragicamente per amore (avvelenata per ripicca dalla sua rivale, o forse solo tradita da un cuore sfibrato dalle troppe intermittenze) è andata in scena in un’atmosfera da ultimi giorni del teatro. Peccato, perché il «teatro nel teatro» raccontato dall’opera di Cilea nell’allestimento di Giovanni Agostinucci (con il tocco fascinosamente démodé dei fondali dipinti di Sormani Cardaropoli) è gustoso, perché il canto di Maria José Siri nei panni della protagonista sa essere all’occorrenza sussurrato e flessuoso ma anche di temperamento, perché la musica di Cilea è resa dal direttore Jordi Bernàcer (e dall’Orchestra del teatro) con vibrante passionalità, e perché risultano commoventi alcune arie (su tutte, «Poveri fiori» nel quarto atto). Ma ben pochi hanno visto questa nuova produzione della Fondazione lirica barese. Quei pochi hanno applaudito in un teatro risonante per il prevalere del vuoto in sala, hanno festeggiato il cast a fine rappresentazione, e hanno anche provato un brivido quando, al termine della serata, il sipario è calato mentre sul palcoscenico i cantanti agitavano la mano in segno di saluto. Era il teatro che lasciava la città. Per chissà quanto.