Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Oggi si fa lezione in videoconfe­renza

Fare scuola ognuno da casa propria: la routine di prof e alunni sconvolta dall’arrivo del virus

- Di Marcella Rizzo

Ho messo la sveglia mezz’ora dopo il solito orario. Non devo affrontare il traffico mattutino, i pedoni che attraversa­no le strisce pedonali come zombie, i Suv che strombazza­no prepotenti, la rotatoria da superare, una sfida giornalier­a delle più dure. Mi alzo, faccio colazione con calma, doccia, trucco e parrucco. Devo comunque essere in ordine. Alle 8.10 sono in postazione. Mi sono ritagliata un angolo nello studio di casa,

Abbiamo lanciato un appello a fotografi, scrittori, creativi, intellettu­ali: capiamo insieme come sta cambiando la nostra vita al tempo del coronaviru­s. Lanciando l’idea, Alessio Viola ha scritto: «La comunità degli scrittori e artisti si può riunire sulle pagine del Corriere del Mezzogiorn­o con lo scopo di offrire riflession­i che aiutino a passare la nottata». Oggi un nuovo racconto (d’argomento scolastico). Mandateci il vostro a redaz.ba@corrierede­lmezzogior­no.it (oggetto: «Scrivere al tempo del Covid-19»).

lottando strenuamen­te con marito e figlie che reclamano il loro posto al computer. Li metto a tacere barattando il pc con torte e focacce. Una promessa che, ahimè, devo mantenere. E sia. Accendo il computer, libri, penne e fogli sono pronti, l’Ipad è in funzione e anche il cellulare. Appendo fuori dalla porta dello studio un foglio con su scritto: «Non disturbate, non fate rumore e per qualsiasi comunicazi­one urgente usate Whatsapp».

Mando il primo messaggio: «Ragazzi, siete pronti?» con il link per collegarsi a Meet group, programma per videoconfe­renze. Cominciano a collegarsi uno alla volta. «Buongiorno prof!», «Eccomi prof!», «Io ci sono!», «Prof mi sente?», «Prof ha visto quanto è brutto in video Andrea?», «Prof chi è quello nella foto dietro di lei?», «Prof ho il cellulare scarico!!». Faccio un lungo sospiro. «Ragazzi, per favore, chi deve intervenir­e mi faccia un cenno e do la parola uno alla volta». Finalmente anche l’ultimo si è collegato, è sempre lui, Fabio, il ritardatar­io cronico, quello che arriva in classe alle 8.20 trafelato con il casco sotto il braccio, dando la colpa al traffico. Questa volta voglio proprio sentire che scusa accamperà. «Fabio, cosa è successo?», «Niente prof, è che c’è troppo traffico in rete». Risata generale. Mi appello a tutta la mia pazienza, ma non posso non sorridere pure io. Finalmente si comincia.

Sono trenta visi, un po’ assonnati, sono seduti nelle loro postazioni; vedo camerette con sciarpe della loro squadra di calcio preferita, foto di loro bambini, peluches. Sono pronti con quaderni, libri e penne. Sono curiosi di questa nuova modalità per fare lezione senza banchi, cattedra, lim, finestre appannate e tapparelle che non si chiudono. Trenta visi di adolescent­i che stanno vivendo una situazione straordina­ria e surreale, forse nemmeno riescono a comprender­e del tutto la gravità del momento. Hanno 14, 15, 17 anni e tutta la vita davanti. Hanno diritto alla loro giovinezza, ad uscire a divertirsi, ad abbracciar­si, ma devono stare in casa perché il Covid-19 non perdona nessuno. Passerà, ma è difficile, molto difficile.

Bene cominciamo. Non è facile spiegare la terza declinazio­ne latina con questa moFiniamo dalità. Ma ci proviamo. I ragazzi sono attenti, partecipan­o, fanno domande, mi aiuto con delle slide che ho preparato ieri sera. «Prof, io la sento ma non la vedo!», «Prof, io la vedo ma non la sento», e Antonio: «Prof io non la vedo e non la sento ma percepisco la sua presenza». Di nuovo risate. Richiamo tutti all’ordine. Mio marito si affaccia dalla porta, sorride e mi scatta una foto. Lo guardo male e gli faccio cenno di andarsene. Continuiam­o. Faccio leggere e tradurre a turno una frase. Faccio declinare a Luigi consul, consulis e a Sofia urbs, urbis. Bene, hanno compreso. di correggere gli esercizi e passiamo alla lezione di italiano.

La lezione di oggi è sull’Odissea. Sono affascinat­i da Ulisse, dal nostos, dalla sua sete di conoscenza e dalla sua audacia. Fanno domande, partecipan­o attenti. È bello sentirli così vicini anche se così lontani. È bello poterli vedere, guardare il loro viso anche se a tratti sfocato dalla connession­e non sempre perfetta. Una video lezione non potrà mai sostituire una lezione in presenza, insegnare non è una cosa che si può fare a distanza, insegnare non vuol dire riempire la testa di nozioni, ma vuol dire prima di tutto educare alla bellezza, suscitare curiosità, accompagna­re i ragazzi nel loro percorso di crescita, sostenerli e spronarli, ascoltare i loro dubbi, gioire delle loro gioie, asciugare qualche lacrima. Insegnare vuol dire anche imparare da loro, guardarli negli occhi, renderli consapevol­i dei loro errori, delle loro mancanze, sgridarli e punirli quando è necessario. E tutto questo mi manca. Così come mi manca la Scuola, il mio liceo, i miei colleghi, il caffè la mattina in compagnia prima di cominciare, ognuno nelle sue classi, ognuno con i suoi studenti. Che ora sono qui, dietro ad uno schermo, con i loro visi adolescent­i, con il loro sguardo fiducioso.

«Bene ragazzi, la lezione è finita. Ci vediamo domani». «Va bene prof!», «Ok prof!», «Grazie prof!», «Che cucina oggi prof?». Il solito Antonio, che prende la vita con allegria anche quando si becca un quattro in latino perché dice che per la tristezza c’è sempre tempo. Spengo il computer e mi affaccio un attimo alla finestra. Un silenzio irreale mi assale, nessun rumore, nessun passante. Mi faccio forza e penso che tutto questo sarà solo un brutto ricordo. Vabbè, vado a cucinare, che per la tristezza c’è sempre tempo.

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