Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
LA PUGLIA E LE ALTRE 19 ITALIE
Ripensare sarà il verbo che useremo di più nel nostro futuro. Andrà declinato nella maniera migliore, come dicono i dizionari «pensare di nuovo a qualcosa con maggiore riflessione». Non ci saranno più certezze granitiche come prima. La politica, l’economia, la cultura: tutto dovrà essere ripensato e in qualche modo ricreato. Dovremo sbarazzarci dei luoghi comuni come di una zavorra su un vascello che rischia di affondare. Solo il dopoguerra potrà essere termine di paragone accettabile. Ma allora il Paese era unito dalla guerra e dalla lotta antifascista, sostenuto dagli alleati ad est e ad ovest, con niente più da perdere e tutto da guadagnare.
Oggi in tanti hanno qualcosa da perdere, quasi tutti noi. Le certezze che sembravano date una volta per tutte, il benessere, i viaggi, il divertimento, la ricerca del bello. La sanità, appunto. Il dopoguerra in realtà arrivò fino agli anni a cavallo tra i ‘60 e i ‘70, con le grandi riforme della sanità nazionale e lo statuto dei lavoratori, quello che veniva chiamato welfare. Poi smantellato con ferocia, l’Italia nell’abisso di una partitocrazia vorace e onnipresente e di un’Unione europea di ragionieri ed usurai contro i sui Paesi più deboli. Eppoi le Regioni, ormai è maturo il tempo di un ripensamento, sembrarono l’atto che certificava la definitiva modernizzazione. Possiamo affermare che sono state un problema, senza paura di incorrere in anatemi e alti lai per il reato di lesa autonomia?
La globalizzazione ha reso di colpo grotteschi gli apparati di venti Regioni con venti presidenti e venti assessori alla salute, per dire. Gli inizi dell’emergenza coronavirus sono stati tremendi, ogni Regione tendeva a fare da sé, tranne arrendersi all’evidenza e affidarsi ad un governo e un ministro. Ma poi, con il proseguire della crisi, riprende la sarabanda. In un pomeriggio di domenica milioni di italiani ascoltano presidenti di Regione, ognuno per la sua strada. Il lombardo che si nomina il suo responsabile di Protezione civile come ripicca politica; la calabrese che ammette semplicemente di non conoscere i numeri di quello che sta succedendo nella sua regione; il siciliano che ci tiene a ricordare come gli immigrati restino un pericolo da cui non dobbiamo distrarci. Il pugliese Emiliano si affretta a rinunciare all’aiuto dell’esercito, quasi paventando rischi autoritari e golpisti, il tono era seriamente allarmato. Ci sono circa 100 mila uomini delle forze armate, in Italia, che in questo momento oltre alle missioni all’estero possono tranquillamente evitare di esercitarsi alla guerra per accorrere negli ospedali e dare una mano. Dovremmo ripensare, ma subito, a quanto questo Paese abbia bisogno di essere tale. A tanti ormai sta stretta l’identità pugliese, o milanese. Ce ne basterebbe una dignitosa da italiani.