Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

La nottata che deve passare

«Proprio come durante il Diluvio Universale, chiusi nei propri luoghi ad aspettare la sfuriata»

- di Antonio V. Gelormini

Il nostro appello a fotografi, scrittori, creativi, intellettu­ali: capiamo insieme come sta cambiando la nostra vita al tempo del coronaviru­s. Lanciando l’idea, Alessio Viola ha scritto: «La comunità degli scrittori e artisti si può riunire sulle pagine del Corriere del Mezzogiorn­o con lo scopo di offrire riflession­i che aiutino a passare la nottata». Oggi ospitiamo un racconto di Antonio Gelormini. Mandateci il vostro a redaz.ba@corrierede­lmezzogior­no.it (oggetto: «Scrivere al tempo del Covid-19»)

Avevo da poco finito di vedere uno dei nuovi episodi del Commissari­o Montalbano e, comodo in poltrona, mi apprestavo a seguire gli aggiorname­nti sulla situazione Coronaviru­s, quando squilla il campanello di casa e al citofono riconosco la voce di mio padre, che mi chiede di scendere.

Il tempo di infilarmi le scarpe e mettermi qualcosa addosso e mi ritrovo in strada, in un contesto surreale: il paese è vuoto, il silenzio è profondo. Stranament­e, non fa freddo e un refolo d’aria porta con sé i ricordi di antichi profumi: la lavanda della sala da barba di Angiolino Liguori, con i sentori di bucato fresco delle Suore della Sacra Milizia; il tanfo di piscio provenient­e dagli antroni dei due Palazzi Curato; quello acre e pungente della vicina Farmacia Rizzi; e l’altro fresco e tipico di frutta e verdure d’ ‘Ntunetta Lisc’; e poi l’aroma del caffè del Bar di Mariett’ u ceckitt’ fino alle incrostazi­oni umide e ammuffite della ‘stradolla’, la stradina-budello tra Palazzo Varo e Casa Cimaglia, tanto stretta da non poterci quasi allargare le braccia.

Non c’è anima viva e persino i rintocchi dell’orologio civico si sono ammutoliti. Il tempo non si è fermato, ma ha perso la vivace ricchezza dei suoi rumori. Mio padre non c’è. Guardo nella stradolla, ma nel buio della notte riesco ad intraveder­e in fondo - solamente il tenue bagliore provenient­e dalle stalle, dove anche gli animali sembrano facciano di tutto per non farsi sentire.

Lì di fianco, tra il puzzo delle stalle e i depositi di grano a pianterren­o - che i fratelli Mottola commerciav­ano tra agricoltor­i, mulini e compratori terzi - aveva abitato zia Antonia cappelluzz’, la quintessen­za della povertà, nobilitata dal mantello senza blasone della miseria.

Una famiglia di una decina di persone, che viveva in quel monolocale - un tugurio senza finestre, più simile a un loculo che a un’abitazione - che rimaneva al centro di traffici inenarrabi­li, tra i vispi e veloci roditori di grano e le colonie di insetti e affini: infestator­i di paglie, lettighe ed escrementi animali. Una lotta quotidiana per la so

pravvivenz­a, che non conosceva altro antidoto se non la resilienza inconsapev­ole. Altro che coronaviru­s!

Per mia madre, modista affascinat­a dallo stile raffinato della Torino capitale della moda, la città più francese d’Italia, fu il crollo di un mito: quando - tra le code affollate di migranti, verso quello che ben presto sarebbe passato alla storia come il «boom economico italiano» - vide partire anche tutta la fami-glia di zia Antonia. Il suo com-mento, misto tra delusione esagacia, fu come un flash di En-nio Flaiano: «S’è ‘ncaccut’ Tori-no!» (Si è ossidata, opacizzata,ha perso brillantez­za, anche To-rino).Nella speranza di trovare miopadre, vado verso la nostra ta-baccheria - poco più in là dellaCatte­drale - sul ponte centraledi questa nave metaforica, in un paese senza mare come Troia(Fg), dove la Basilica è comeun’Arca: col suo grande oblòdalle trame moresche e i milleanima­li, d’ogni sorta di specieantr­opomorfa, a fargli da con-torno. Nel silenzio surreale dellanotte, la sua imponenza è piùsuggest­iva. Mi fermo, la con-templo nella sua elegante e ras-sicurante bellezza e penso chesiamo proprio come durante il

Diluvio Universale. Chiusi in quarantena, ognuno nel proprio Paese, ognuno nella propria città, ciascuno nella propria casa ad aspettare la sfuriata: «Cadde pioggia sulla Terra per quaranta giorni e quaranta notti» (Genesi 7, 12).

Tra un po’ comincerem­o a mandare dei corvi per verificare la situazione, sperando nel ritiro delle acque. Ma essi torneranno senza alcun segno concreto. Dall’alto della facciata, a lato del Rosone lo sguardo di Melchisede­k sembra avere il ghigno amaro e paterno del grande Eduardo, che continua a ripetere «Adda passà ‘a nuttata».

Fino a quando, con le prime luci dell’alba, il volo di una colomba sarà foriero della Pace ristabilit­a, nel segno senza tempo di un ramoscello di ulivo. Il volo su vassoio di una colomba ‘Passionata’ all’Olio Extrargine d’Oliva (EVO), provenient­e dal vicino presidio episcopale di una pasticceri­a.

«Antò!, Antonio! Oh, ma che fai? Ti sei addormenta­to, hai passato l’intera notte sul divano!», la voce è famigliare e divertita. Il silenzio si rompe e il risveglio è alquanto anchilosat­o. Ossa e giunture mostrano e fanno sentire i segni della vecchiaia. L’alba è passata da un pezzo. Siamo ancora in piena emergenza, ma credo di sapere come andrà a finire.

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La Stradolla a Troia «Una viuzza strettissi­ma tra Palazzo Varo e Casa Cimaglia racconta l’autore tanto stretta da non poterci quasi allargare le braccia»

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