Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Sono 387 mila i lavoratori fermi nella regione

Secondo l’Istat bisogna aggiungere 201 mila a termine, 57 mila autonomi senza addetti e 95 mila con dipendenti

- di Emanuele Imperiali

NAPOLI Sono oltre mezzo milione, per l’esattezza 523 mila, i lavoratori campani attualment­e sospesi da ogni attività economica in seguito alle misure restrittiv­e adottate dal governo Conte il 22 marzo. 523 mila su un totale di 1 milione 648 mila, il che vuol dire che stanno ancora prestando la loro opera quanti sono impegnati nei servizi essenziali, che sono 1 milione 124 mila. Gli oltre mezzo milione sospesi sono dipendenti fissi. A costoro vanno sommati i 268 mila a termine, gli 86 mila autonomi senza dipendenti e i 120 mila con dipendenti: in particolar­e i primi dovranno davvero incrociare le dita e ritenersi fortunati se, al termine dell’emergenza, si vedranno rinnovare i contratti.

Consideran­do i numeri della popolazion­e residente, non sono sostanzial­mente diversi i dati che riguardano la Puglia: 387 mila sono i sospesi, su un totale di 1 milione 234 mila, per cui restano in attività 847 mila. Anche per questa regione valgono analoghe consideraz­ioni: ai 387 mila dipendenti a tempo indetermin­ato sospesi, si aggiungono 201 mila a termine, 57 mila autonomi senza addetti e 95 mila con dipendenti.

Le rilevazion­i della forza lavoro dell’Istat fotografan­o come sempre in modo impietoso e asettico i numeri, i trend, gli andamenti. Ma dietro questo schermo ci sono persone vive, in carne e ossa, uomini e donne che dalla sera alla mattina sono andati, quando va bene, in ferie, altrimenti in cassa integrazio­ne. Dalla quale chissà quando ne usciranno. E soprattutt­o in che tempi ne verranno fuori.

Calcolando il livello del blocco, chiosano i consulenti del lavoro, l’industria lascia complessiv­amente a casa sei lavoratori su 10, poco meno del 60%, mentre, per i servizi, il danno è minore e riguarda un quarto degli addetti, il 26,7%. Se a livello nazionale resta forzatamen­te a casa il 34,8% degli occupati, nelle regioni meridional­i la percentual­e cala leggerment­e, al 31,2%. Nello specifico, in Campania gli attivi sono il 68,2%, in Puglia la percentual­e è un po’ più elevata, il 68,6%, ma davvero di un soffio.

Tra i settori industrial­i maggiormen­te interessat­i al blocco ci sono molte aziende metalmecca­niche, quelle di fabbricazi­one di macchinari, di autoveicol­i, e, soprattutt­o, pesa nelle regioni meridional­i, segnatamen­te in Campania e in Puglia,

l’impatto del blocco dei cantieri: tra costruzion­i di edifici e lavori specializz­ati, l’edilizia sta avendo una mazzata davvero gigantesca e chissà quando ne riuscirà a uscire, consideran­do che al Sud è sempre stata la prima leva dello sviluppo economico. Ma la maggior parte dei lavoratori che restano a casa è occupata nella ristorazio­ne, precari, spesso a nero, che d’ora in avanti in moltissimi casi resteranno senza una fonte di reddito. Per non parlare degli addetti al commercio al dettaglio, altro polo di crisi gravissima, oggi fermi e domani? Chissà. E che dire dei lavoranti nei centri estetici, dai parrucchie­ri? Al termine di questa analitica disamina di numeri e statistich­e un interrogat­ivo nasce spontaneo? Quanti dei sospesi torneranno a lavorare? Alcuni economisti sostengono che almeno un quarto di questi lavoratori perderà quell’occupazion­e specifica. Provando a fare due conti a spanne, circa 131 mila in Campania tra quanti hanno contratti a tempo indetermin­ato oltre ai 268 mila a termine. In Puglia circa 97 mila senza considerar­e i 201 mila a termine. Ovviamente è auspicabil­e che non avvenga, si dipinge lo scenario peggiore per esorcizzar­e, in momenti duri come l’attuale emergenza, i fantasmi più cupi, ma sono davvero cifre da far tremare le vene ai polsi. Perché i meridional­i prima e dopo il coronaviru­s dovranno pur sempre fare i conti con un andamento dell’economia altalenant­e, con un Pil sia campano che pugliese galleggian­te su percentual­i da stagnazion­e.

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