Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Sono 387 mila i lavoratori fermi nella regione
Secondo l’Istat bisogna aggiungere 201 mila a termine, 57 mila autonomi senza addetti e 95 mila con dipendenti
NAPOLI Sono oltre mezzo milione, per l’esattezza 523 mila, i lavoratori campani attualmente sospesi da ogni attività economica in seguito alle misure restrittive adottate dal governo Conte il 22 marzo. 523 mila su un totale di 1 milione 648 mila, il che vuol dire che stanno ancora prestando la loro opera quanti sono impegnati nei servizi essenziali, che sono 1 milione 124 mila. Gli oltre mezzo milione sospesi sono dipendenti fissi. A costoro vanno sommati i 268 mila a termine, gli 86 mila autonomi senza dipendenti e i 120 mila con dipendenti: in particolare i primi dovranno davvero incrociare le dita e ritenersi fortunati se, al termine dell’emergenza, si vedranno rinnovare i contratti.
Considerando i numeri della popolazione residente, non sono sostanzialmente diversi i dati che riguardano la Puglia: 387 mila sono i sospesi, su un totale di 1 milione 234 mila, per cui restano in attività 847 mila. Anche per questa regione valgono analoghe considerazioni: ai 387 mila dipendenti a tempo indeterminato sospesi, si aggiungono 201 mila a termine, 57 mila autonomi senza addetti e 95 mila con dipendenti.
Le rilevazioni della forza lavoro dell’Istat fotografano come sempre in modo impietoso e asettico i numeri, i trend, gli andamenti. Ma dietro questo schermo ci sono persone vive, in carne e ossa, uomini e donne che dalla sera alla mattina sono andati, quando va bene, in ferie, altrimenti in cassa integrazione. Dalla quale chissà quando ne usciranno. E soprattutto in che tempi ne verranno fuori.
Calcolando il livello del blocco, chiosano i consulenti del lavoro, l’industria lascia complessivamente a casa sei lavoratori su 10, poco meno del 60%, mentre, per i servizi, il danno è minore e riguarda un quarto degli addetti, il 26,7%. Se a livello nazionale resta forzatamente a casa il 34,8% degli occupati, nelle regioni meridionali la percentuale cala leggermente, al 31,2%. Nello specifico, in Campania gli attivi sono il 68,2%, in Puglia la percentuale è un po’ più elevata, il 68,6%, ma davvero di un soffio.
Tra i settori industriali maggiormente interessati al blocco ci sono molte aziende metalmeccaniche, quelle di fabbricazione di macchinari, di autoveicoli, e, soprattutto, pesa nelle regioni meridionali, segnatamente in Campania e in Puglia,
l’impatto del blocco dei cantieri: tra costruzioni di edifici e lavori specializzati, l’edilizia sta avendo una mazzata davvero gigantesca e chissà quando ne riuscirà a uscire, considerando che al Sud è sempre stata la prima leva dello sviluppo economico. Ma la maggior parte dei lavoratori che restano a casa è occupata nella ristorazione, precari, spesso a nero, che d’ora in avanti in moltissimi casi resteranno senza una fonte di reddito. Per non parlare degli addetti al commercio al dettaglio, altro polo di crisi gravissima, oggi fermi e domani? Chissà. E che dire dei lavoranti nei centri estetici, dai parrucchieri? Al termine di questa analitica disamina di numeri e statistiche un interrogativo nasce spontaneo? Quanti dei sospesi torneranno a lavorare? Alcuni economisti sostengono che almeno un quarto di questi lavoratori perderà quell’occupazione specifica. Provando a fare due conti a spanne, circa 131 mila in Campania tra quanti hanno contratti a tempo indeterminato oltre ai 268 mila a termine. In Puglia circa 97 mila senza considerare i 201 mila a termine. Ovviamente è auspicabile che non avvenga, si dipinge lo scenario peggiore per esorcizzare, in momenti duri come l’attuale emergenza, i fantasmi più cupi, ma sono davvero cifre da far tremare le vene ai polsi. Perché i meridionali prima e dopo il coronavirus dovranno pur sempre fare i conti con un andamento dell’economia altalenante, con un Pil sia campano che pugliese galleggiante su percentuali da stagnazione.