Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Riscoprire il sacro nella nostra casa
Quanto sta accadendo ci riporta tutti a due situazioni estreme, la solitudine e la paura della morte E ci obbliga a trovare un nuovo senso del sacro nella nostra casa, con l’aiuto della tecnologia
L’Emergenza Covid ci riporta all’angoscia dei nostri nonni in tempo di guerra, ma la loro paura aveva un volto, era comunque riconoscibile. Quella del virus non ha volto e ci chiude in casa, obbligandoci a riconsiderare l’istinto di sopravvivenza in chiave solidale, e con esso l’idea del sacro.
Con un appello di Alessio Viola abbiamo chiamato a raccolta fotografi, scrittori, intellettuali, creativi. Capiamo insieme come sta cambiando la nostra vita al tempo del coronavirus: «La comunità degli scrittori e artisti - scriveva Viola - si può riunire sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno con lo scopo di offrire riflessioni che aiutino a passare la nottata». Oggi vi proponiamo la riflessione di una psicoterapeuta. Chi vuole, può inviarci il suo contributo a redaz.ba@corrieredelmezzogiorno.it.
L’Emergenza Covid potremmo definirla come l’incontro con l’impossibile, con l’incontrollabile. Da dove deriva l’angoscia dell’uomo di oggi e quando, nel passato, abbiamo incontrato un’angoscia simile? I ricordi risalgono alle narrazioni dei nostri nonni, alle loro paure e ai loro fantasmi. Di solito quello che ci raccontavano erano le scene della guerra, la paura della fame, la paura delle bombe. Possiamo dire che oggi sia la stessa cosa? Cosa ricorderanno i nostri nipoti dei nostri racconti?
I nostri nonni avevano paura di qualcosa di tangibile e di concreto, come vedere il nemico, avere paura della sirena che annunciava l’arrivo delle bombe, la paura del soldato, di qualcosa o di qualcuno che, in parte, poteva essere controllato con lo sguardo e che avesse un volto. Oggi invece di cosa abbiamo paura? Il virus non ha volto, non è un oggetto definito in modo tale da poterlo controllare, osservare e tenere a distanza quindi, oggi, rispetto al tempo passato, l’angoscia risiede nell’ignoto e nell’incertezza, e ci porta al paradossale confronto con la nostra impotenza e la nostra responsabilità.
I flash-mob e le iniziative che le persone organizzano per sentirsi più vicini e soprattutto per potersi vedere, l’uno di fronte all’altro, affacciati sui balconi, hanno la funzione inconscia di esorcizzare la morte, l’illusione che insieme la si può sconfiggere, ma anche, inconsciamente, il desiderio di vedere che il vicino si affacci ancora sul balcone, perché abbiamo paura che un giorno quel balcone sarà vuoto. Oggi il Covid ci porta a vivere due situazioni mai pensabili in passato: quella della solitudine e quella della sopravvivenza.
Pensavamo che Darwin non ci avrebbe mai toccato e che saremmo stati immuni alle sue regole, invece no, queste due questioni, ci portano a un confronto diretto fra l’uomo e l’animale, questioni che fanno paura all’uomo il quale ha trovato, quasi sempre, rifugio nella fede. Questa volta è diverso, anche la fede, sebbene interiore, ma che prende forma nel luogo sacro della chiesa e nella ritualità, oggi, non è socialmente praticabile. Oggi il nostro luogo sacro è diventato la casa. E la tecnologia, che fino a ieri veniva bandita come oggetto che distanziava l’uomo, ha assunto all’improvviso una nuova funzione: una funzione sociale. Oggi potremmo parlare di
tecnologia sociale e solidale utile anche alla fede.
#Iorestoacasa è uno slogan che ci riporta, dunque, a trovare una nuova spiritualità: quella che accoglie dentro le nostre case la famiglia, l’amicizia, la solidarietà ma anche la fede stessa. Il maestro Massimo Recalcati ha parlato di una nuova fratellanza e di altri due concetti che vanno strettamente a braccetto: quello di libertà e di uguaglianza. Davanti alla sopravvivenza siamo tutti uguali, ma non siamo tutti soli. Recalcati afferma «Nessuno si salva da solo» ed è proprio così, la lotta per la sopravvivenza ci ha sempre fatto pensare che debba vincere il più forte, anche se non è quello che Darwin intendeva, in quanto egli sosteneva che continuava a vivere quel soggetto dotato di una caratteristica specifica che, in quel particolare frangente e in quello specifico contesto, risultasse l’elemento essenziale a determinarne la sopravvivenza.
Qual è il tratto specifico che oggi ci permette di sopravvivere al Covid? Non è più questione legata alla forza, nell’accezione «mors tua - vita mea», a cui siamo abituati nella società capitalistica, che ci stiamo forse lasciando alle spalle, bensì legata alla responsabilità sociale e al rispetto di se stessi, nella nuova accezione «vita mea - vita tua». E’ il tratto della nuova fratellanza: se mi salvo io, si salva anche mio fratello, si salvano il mio vicino, i miei figli e i miei cari.
Il monito #iorestoacasa trae spunto da un concetto di solidarietà e di legame sociale nel quale ognuno può fare la differenza rispetto all’umanità. Vediamo scene raccapriccianti, in zone che sono sempre state per l’Italia quelle che hanno rappresentato la massima avanguardia dal punto di vista della tecnologia, dell’innovazione, del lavoro, della capacità gestionale e organizzativa: Il Nord. Vediamo oggi quanto queste zone, a seguito di quello che sta accadendo, si siano trovate impreparate ad affrontare la morte sia dal punto di vista umano (ma chi lo è?) sia dal punto di vista spirituale. Il divieto del funerale ci mette di fronte alla necessità di confrontarci con nuovi modi di onorare il defunto.
Il culto della morte è una forma di rispetto per colui che ci ha lasciati ma anche per esorcizzare la nostra stessa morte. È una forma di gratitudine verso quello che il nostro caro ci ha dato, una forma di unione, è un saluto che implica la promessa di stare insieme per sempre: non ti dimenticherò, sei stato importante, grazie per avermi dato la vita. Oggi l’umanità non può farlo, non può effettuare questo ringraziamento e quella che è sempre stata una persona importante, fondamentale per la nostra esistenza, si è ridotta a un puro corpo che «si spegne da solo», come una candela che si spegne quando una folata di vento spalanca la finestra. E noi rimaniamo impotenti a casa, da soli, che non possiamo onorare quel corpo. Quello che ci viene chiesto oggi è di rendere la nostra casa un nuovo centro di spiritualità e di non perdere il bisogno di congiunzione con i nostri cari, anche solo riaccendendo quella candela in una stanza, unendosi spiritualmente a quel corpo che ha sofferto, dando i nostri saluti, trattenendolo ancora un po’ accanto a noi.
Non ci sono colpe per queste morti, non ci sono responsabilità per quello che sta succedendo ed è proprio questo l’impotente e incommensurabile dolore dell’uomo di oggi: ammettere che il controllo sia una illusione e che siamo chiamati, ogni giorno, a vivere dando nuove priorità e una nuova collocazione alla tecnologia che oggi, più che mai, assume nuova forma.
Sembra essere arrivato il momento di conciliare tutto ciò che fino ad oggi ci ha tenuti separati: noi stessi, la fede, la prestazione come valore sociale, il tempo e la tecnologia, tutto in un nuovo centro: la nostra casa.