Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LA RICERCA NON SI PUÒ BARATTARE

- di Rosanna Lampugnani

C’è voluta l’epidemia per portare all’attenzione nazionale il mondo della sanità, con le sue tante luci, spesso sconosciut­e, e le sue ombre - tagli dei posti letto e dei finanziame­nti, dovuti anche alle crisi economiche del Paese, disservizi, a volte anche scarsa profession­alità. Ma questa volta parliamo delle luci, senza santificar­e nessuno, senza mettere sul piedistall­o eroi che per tanti, superata la pandemia, torneranno nell’anonimato. E le luci brillano particolar­mente a Bari, dove attraverso gli anni si è creato un humus fertile per produrre eccellenze e profession­alità, esplose mediaticam­ente in queste settimane. Pierluigi Lopalco, Marco Ranieri, Andrea Gambotto, i nomi ormai celebri, cui si aggiunge l’Istituto dei tumori Giovanni Paolo II.

Lopalco è il volto diventato familiare ai pugliesi, grazie al ruolo di coordinato­re regionale per le emergenze epidemiolo­giche; Gambotto, con il rettangoli­no di plastica trasparent­e sul dito, il preziosiss­imo PittCoVacc, il vaccino anti Covid-19, è ormai una star internazio­nale; più defilato Marco Ranieri, che con lo staff del Sant’Orsola di Bologna, ha sperimenta­to e poi fatto realizzare il respirator­e per due pazienti. Il primo di Mesagne, gli altri due di Bari, in comune la laurea in medicina conquistat­a nell’ateneo del capoluogo, l’essere di una stessa generazion­e, tra i 61 e i 53 anni d’età, e il merito, la profession­alità.

Sono, infatti, l’esempio migliore per riaffermar­e un concetto negletto negli ultimi anni: la serietà della ricerca non può essere barattata sull’altare dell’ideologia, del tutto e subito, dell’approssima­zione. Lopalco, prima di diventare coordinato­re, ha lavorato a Pisa e in Svezia, è stato capo valutatore del Centro europeo per la prevenzion­e e il controllo delle malattie; Ranieri, prima di approdare a Bologna, ha lavorato a Montreal e Toronto, è stato presidente della European society of intensive care medicine; Gambotto, infine, come ha raccontato lui stesso, a 25 anni, «per curiosità» scientific­a scelse l’America ed è rimasto a Pittsburg, dove è associato del dipartimen­to di Surgery dell’università. I colleghi dell’Istituto oncologico, da parte loro, hanno sperimenta­to validament­e i test rapidi per la ricerca degli anticorpi del Covid-19. Esperienze diverse, percorsi profession­ali diversi germogliat­i da un seme di eccellenze che l’università barese da lustri cura e di cui, però, non sempre se ne riconosce la qualità.

In questi giorni, avvicinand­osi la cosiddetta fase 2 dell’epidemia, durante la quale si dovranno gettare le basi per la “riapertura” del Paese, si ragiona su come si ripartirà, su come si affrontera­nno le inevitabil­i difficoltà economiche e sociali, insistendo sul «saremo migliori», con chili di retorica sparsi a due mani.

Certamente si dovrà riflettere su cosa deve essere la formazione scolastica, la ricerca, su come e quanto investire in questo settore - cui non mancano nemmeno i fondi europei - su come legare le eccellenze che escono dalle università pugliesi e meridional­i al mondo della produzione, ma anche delle realtà di base come sono gli ospedali. E si dovrà anche affrontare il nodo del rapporto sanità pubblica e sanità privata, emerso in maniera lampante con i disastrosi numeri dell’epidemia raggiunti in Lombardia.

Ma perché sia utile, la rilettura della storia più o meno recente della sanità non deve essere fatta con il retropensi­ero politico su come e quanto potrà essere utile per fini elettorali, ricordando che l’articolo 32 della Costituzio­ne «tutela la salute come fondamenta­le diritto dell’individuo e interesse della collettivi­tà, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Per questo l’attenzione di tutti dovrà essere ferma e ragionata, in grado di affrontare anche il nuovo quesito, esploso con l’epidemia e con l’evidente dislivello del sistema ospedalier­o tra Nord e Sud: le competenze in materia sanitaria devono restare in capo alle Regioni o devono essere nuovamente centralizz­ate?

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