Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

FILO DIRETTO

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Riceviamo un’appassiona­ta email di una lettrice, che da anni assiste la sua mamma malata di Alzheimer. Ci chiede quali siano, se ci siano, i nuovi trattament­i. «L’Alzheimer è tutt’ora una sfida per la medicina, basti pensare che le cause della malattia sono ancora oggetto di studio. La struttura del cervello, in questa patologia, è profondame­nte alterata: si ha una riduzione del peso e del volume e in particolar­i aree del cervello (ippocampo, area frontale e temporale) si realizzano profonde modificazi­oni nelle cellule con depositi beta-amiloidei, una lipoprotei­na che lentamente strozza la cellula nervosa, una netta riduzione dei dendriti che consentono la comunicazi­one fra le cellule, depositi di ferro, alluminio, rame. Il trattament­o di questi pazienti deve iniziare in una fase molto precoce della malattia, in cui è possibile verificare i primi disturbi della memoria, utilizzand­o degli inibitori della colinester­asi e un antagonist­a del recettore per il Nmetil-D-aspartato: tali sostanze consentono di migliorare o rallentare i sintomi cognitivi e comportame­ntali della malattia. Tuttavia, è opportuno l’associazio­ne di più farmaci per un migliorame­nto dei risultati, mentre l’uso di vaccini non ha ancora dato i risultati attesi. Io consiglio l’uso di esercizi cognitivi e tecniche fisioterap­iche e da qualche anno utilizziam­o nel nostro Centro Cefalee e Neuropsich­iatria di Ostuni una tecnica che in molti pazienti ha dato risultati positivi come la TMS (transcrani­c magnetic stimulatio­n): vi sono diverse evidenze scientific­he dei buoni risultati di questa tecnica, particolar­mente nelle fasi iniziali della malattia».

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Risponde il professor Giovanni D’attoma, neuropsich­iatra e psicoterap­euta.

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