Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Parlano in «lunfardo» gli anti-eroi di Melingo
Daniel Melingo è un cantante e musicista argentino che ha da poco superato la sessantina. Vanta un curriculum di tutto rispetto con esperienze in Brasile nel gruppo di Milton Nascimento, in Spagna come membro della punk band Los Toreros Muertos e in Francia, alla corte di Eduardo Makaroff del Gotan Project, che ha tenuto a battesimo la sua carriera da solista. Il suo ultimo album Oasis esce invece per la Buda musique, e chiude la trilogia di Linyera («vagabondo»), dal nome di un immaginario alter ego di Melingo la cui avventurosa esistenza si snoda tra Argentina e Grecia. Melingo conduce così un percorso alla ricerca delle sue stesse radici (in parte greche); d’altronde, la vera essenza di Melingo è porteña, dunque meticcia visto che Buenos Aires è una di quelle città-mondo dove tante storie, lingue e traiettorie di vita s’incrociano. Della sua città Melingo ama tutto, a cominciare dal lunfardo, l’argot dei bassifondi nel quale scrive tutte le sue storie dense di un’umanità marginale e reietta: vagabondi, ballerini di tango, vecchi che hanno perso la memoria, prostitute e assassini. Anche la musica di Oasis è fortemente meticcia: c’è il bandoneon del tango, ovviamente, e il bouzouki del rebetiko, altra musica di diseredati nata più o meno un secolo fa, come il tango, ma nei bassifondi e nelle taverne del porto di Salonicco. E c’è il dub, il trattamento elettronico del suono inventato dai giamaicani che permette di rallentare il ritmo creando echi, fratture, sospensioni. Tra i tanti ospiti e collaboratori di Melingo, come Enrique Syms (nell’inquietante Soy un virus) e la moglie e il figlio di Melingo (ovunque), troviamo anche Vinicio Capossela in Camino y hablo solo, a suo agio come un topo nel formaggio.