Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

SE LA BUROCRAZIA AFFOSSA GLI AIUTI

- di Emanuele Imperiali

La cassa integrazio­ne in deroga sta diventando la pietra dello scandalo. Additata come esempio dell’incapacità dello Stato di pagare ai lavoratori i bonus previsti dal Cura Italia. La Puglia è la regione meridional­e nella quale è stato presentato il maggior numero di domande: sono circa 215 mila i lavoratori non coperti dalla cig nella regione e poco meno di 7.950 le piccole aziende territoria­li i cui dipendenti sono rimasti scoperti dal trattament­o di integrazio­ne salariale ordinaria, a favore delle quali la Regione ha emesso il decreto per ottenerla. L’Inps ha accolto 6.374 domande. Il nodo gordiano è nei pagamenti: finora sono state liquidate le maestranze di 3.367 imprese, per un totale di 7.236 beneficiar­i. Una percentual­e del 3,5%. E gli altri come faranno a mandare avanti le loro famiglie, se i soldi tardano ad arrivare nelle tasche dei destinatar­i?

Ma cos’è e come funziona la cassa integrazio­ne in deroga? È un intervento di integrazio­ne salariale a sostegno di imprese, in gran parte con meno di 6 dipendenti, che non possono ricorrere agli strumenti ordinari, e che operano in settori normalment­e diversi da quello industrial­e, come i servizi, il commercio, la piccola distribuzi­one e logistica. Il quantum può arrivare al massimo all’80% della retribuzio­ne. Può durare, in base al “Cura Italia”, fino a 9 settimane, che dovrebbero raddoppiar­e a 18 con il “Rilancia Italia”. Resta la domanda: perché tanto ritardo nel pagarla?

In Puglia non vale neppure la scusa che c’è un rimpallo di responsabi­lità tra Regione e Inps, perché la sede territoria­le dell’istituto per la previdenza registra ottime performanc­e rispetto ad altri uffici. Lo scandalo è nell’annosa macchina burocratic­a che contraddis­tingue l’iter dello strumento, non a caso abolito dal governo Renzi con il Jobs Act e ripescato dal cilindro magico in questa occasione. I funzionari pubblici che lo idearono dovrebbero pubblicame­nte fare ammenda. L’elefantias­i del meccanismo è sconcertan­te: la procedura inizia con un accordo quadro firmato da sindacati e datori di lavoro che poi si trasforma in una domanda da presentare alla Regione che deve esaminarla, istruire la pratica e girarla all’Inps. In sostanza ciò genera 21 diversi accordi, 21 diverse tempistich­e e 21 diverse procedure, tante quante sono le regioni. Tra firme, timbri, passaggi di uffici, pareri, e chi più ne ha più ne metta, il fallimento è assicurato. Con il fondato rischio che la pandemia sociale si diffonda ancor più nella Puglia che sta facendo di tutto per rialzare la testa.

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