Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SE LA BUROCRAZIA AFFOSSA GLI AIUTI
La cassa integrazione in deroga sta diventando la pietra dello scandalo. Additata come esempio dell’incapacità dello Stato di pagare ai lavoratori i bonus previsti dal Cura Italia. La Puglia è la regione meridionale nella quale è stato presentato il maggior numero di domande: sono circa 215 mila i lavoratori non coperti dalla cig nella regione e poco meno di 7.950 le piccole aziende territoriali i cui dipendenti sono rimasti scoperti dal trattamento di integrazione salariale ordinaria, a favore delle quali la Regione ha emesso il decreto per ottenerla. L’Inps ha accolto 6.374 domande. Il nodo gordiano è nei pagamenti: finora sono state liquidate le maestranze di 3.367 imprese, per un totale di 7.236 beneficiari. Una percentuale del 3,5%. E gli altri come faranno a mandare avanti le loro famiglie, se i soldi tardano ad arrivare nelle tasche dei destinatari?
Ma cos’è e come funziona la cassa integrazione in deroga? È un intervento di integrazione salariale a sostegno di imprese, in gran parte con meno di 6 dipendenti, che non possono ricorrere agli strumenti ordinari, e che operano in settori normalmente diversi da quello industriale, come i servizi, il commercio, la piccola distribuzione e logistica. Il quantum può arrivare al massimo all’80% della retribuzione. Può durare, in base al “Cura Italia”, fino a 9 settimane, che dovrebbero raddoppiare a 18 con il “Rilancia Italia”. Resta la domanda: perché tanto ritardo nel pagarla?
In Puglia non vale neppure la scusa che c’è un rimpallo di responsabilità tra Regione e Inps, perché la sede territoriale dell’istituto per la previdenza registra ottime performance rispetto ad altri uffici. Lo scandalo è nell’annosa macchina burocratica che contraddistingue l’iter dello strumento, non a caso abolito dal governo Renzi con il Jobs Act e ripescato dal cilindro magico in questa occasione. I funzionari pubblici che lo idearono dovrebbero pubblicamente fare ammenda. L’elefantiasi del meccanismo è sconcertante: la procedura inizia con un accordo quadro firmato da sindacati e datori di lavoro che poi si trasforma in una domanda da presentare alla Regione che deve esaminarla, istruire la pratica e girarla all’Inps. In sostanza ciò genera 21 diversi accordi, 21 diverse tempistiche e 21 diverse procedure, tante quante sono le regioni. Tra firme, timbri, passaggi di uffici, pareri, e chi più ne ha più ne metta, il fallimento è assicurato. Con il fondato rischio che la pandemia sociale si diffonda ancor più nella Puglia che sta facendo di tutto per rialzare la testa.