Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

COME CAMBIARE LA SCUOLA (E NOI)

- Di Rosanna Lampugnani

Il 7 settembre, tra le 8 e le 8,30, suonerà la campanella per 22 milioni di persone, cioè un terzo degli italiani. Bambini, ragazzi, insegnanti, personale non docente, genitori “torneranno a scuola”, chi sui banchi o intorno ai banchi, chi all’ingresso degli edifici, dopo aver viaggiato su bus, tram, treni, auto: una marea umana si ritroverà ad affrontare il nuovo anno, quello vero, non scandito dai calendari gennaiodic­embre. Ma realmente una tale massa umana ripeterà il ciclico rito di passaggio, in questa era pandemica? Lo si deve escludere totalmente, avverte il professor Patrizio Bianchi, ex rettore dell’università di Ferrara, docente di Economia e politica applicata, chiamato dal ministro per l’Istruzione Lucia Azzolina a guidare la task force del ministero.

Bianchi ha spiegato che il suo gruppo si è diviso il lavoro: una parte si occupa dell’immediato futuro; un’altra ragiona sul medio e lungo periodo, perché il Covid 19 possa diventare una leva positiva. In fondo Primo Levi, riprendend­o un verso del Talmud, diceva: «Se non ora quando?». Se non ora quando avremo più la possibilit­à di rifondare il sistema scolastico italiano, o meglio: il sistema di apprendime­nto? Se non ora quando si investirà adeguatame­nte sulla formazione (l’Italia è all’ultimo posto in Europa ed è anche all’ultimo posto per produttivi­tà). Ma prima bisognerà decidere come gli studenti dovranno tornare nelle scuole che, come si sa, non sono tutte uguali. Mediamente gli edifici hanno due ingressi, ma non tutti hanno cortili o accettabil­i aule magne, le aule spesso sono anguste: tuttavia è in queste realtà che i ragazzi dovranno studiare rispettand­o le misure sanitarie dell’era pandemica. Il ministro ha già fatto capire che per i più grandi si dovrà ricorrere in parte al telestudio, come in questi mesi di lockdown; i più piccoli e i disabili studierann­o “in presenza”, espression­e in uso per dire che saranno in classe con gli insegnanti, ma a ranghi ridotti per rispettare le distanze sanitarie. Questo comporterà un aumento di organico del personale docente e non docente.

In più, soprattutt­o al Sud, le tante carenze degli istituti dovranno essere sollecitam­ente sanate. Ma può essere solo la task force ad occuparsi di tutto, partendo dalla scuoletta della val Susa per finire alla scuoletta salentina? Certamente no; e nemmeno si può pensare che le Regione, assieme ai Comuni e anche agli stessi dirigenti scolastici, possano svolgere al meglio tale compito. È l’intera comunità che dovrà farsene carico con spirito costruttiv­o, senza contrappos­izioni sterili e senza innalzare inutili bandierine. Se non ora, quando?

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