Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Numeri e strategie, la Popolare di Bari ai raggi X
«Grossa per essere banca del territorio, piccola per essere un player nazionale, troppo chiusa in sé stessa fino al punto di soffocare pur di non diventare contendibile». Gli ultimo otto anni della Banca Popolare di Bari (dell’era Jacobini) saranno ricordati per le scelte manageriali che hanno determinato uno dei crac più pesanti della storia finanziaria della Puglia. Non tanto per l’incidenza numerica sul mercato - fortunatamente è abbondantemente frazionato in tanti istituti di credito - ma per aver dilapidato la fiducia (e i risparmi) di quasi 70 mila soci che hanno sempre creduto in un progetto ambizioso. Nel suo ultimo libro Gianpaolo Busso, per molti anni si è occupato di funzioni di direzione e amministrazione in enti finanziari ed è stato docente presso le Università di Lecce e di Salerno, analizza la crisi della Banca sotto un profilo tecnico snocciolando numeri e scelte strategiche tratti da bilanci, comunicati e informative diffuse sull’argomento da Banca d’Italia e Consob. Banca Popolare di Bari, storia di un naufragio (Edizioni dal Sud, 99 pagine) esce oggi con l’intento di analizzare a ritroso gli eventi che hanno portato al dissesto dell’ultimo medio istituto bancario con sede nel Mezzogiorno. Busso effettua un viaggio documentale dall’epilogo (commissariamento del 13 dicembre 2019) agli anni 2013-14 che rappresentano lo snodo dell’acquisizione di Banca Tercas. Questa è stata l’ultima tappa della crescita per linee esterne che ha portato il management a concludere 25 operazioni trascinandosi per più esercizi il peso degli “avviamenti” (voci di bilancio che alla fine hanno schiacciato irrimediabilmente la gestione Jacobini). Nella ricostruzione dell’autore c’è spazio per analizzare l’azione della vigilanza, più o meno tempestiva, effettuata da Banca d’Italia e Consob. «Un episodio che va richiamato e approfondito - scrive Busso - risale a quando la Popolare di Bari sottoscrive, tra il 2010 e il 2012, per oltre 120 milioni di euro quote di Fondi immobiliari chiusi (più esattamente OICR). Un primo fatto rilevante era che, tra quote di OICR ed immobili di proprietà, nel 2012 una parte non secondaria del patrimonio della Banca era assorbito in attività di real estate, una percentuale poco prudenziale e poco raccomandabile per una banca, tanto più in una fase di aspra recessione economica e di conseguente necessità di mobilizzare risorse patrimoniali liquide». Il futuro? «Occorre riconquistare la fiducia dei soci - suggerisce l’autore - per recuperare il gap reputazionale che pesa sulla Banca».