Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Appartenersi durante il lockdown
In questa fase di lavoro agile, Claudio e Myriam s’incontrano alle otto davanti alla Moka fumante. Lui, più mattiniero, è stato il primo ad alzarsi; ha già apparecchiato con le tovagliette americane e scongelato il pane nel microonde. Lei si immerge nella prima colazione, con buona parte di sé ancora nei fumi dei sogni che l’hanno avvolta nelle loro trame (una materia vischiosa come la tela di un ragno).
È Claudio, come un capovoga, a dare il ritmo della prima mattinata e a tenere d’occhio l’orologio a muro, in cucina. Entrambi sono in regime di lavoro agile, finché dura; tra pochi minuti dovranno dividersi, in due diversi spazi della casa. Myriam preferisce lavorare distesa, con il notebook sulle gambe piegate a fare da leggio. Claudio si ingobbisce sulla penisola della cucina, con la sue carte squadernate in rassegna ai lati del pc. Sono tra i fortunati su cui non si è abbattuta la scure della crisi, un argomento che loro due hanno scelto, per il momento di rendere tabù. «Tanto del doman non v’è certezza», Myriam e la sua scrollata di spalle. Se deve angosciarsi preferisce farlo mentre redige, revisiona, riscrive i suoi dossier di lavoro. Cerca l’impossibile perfezione, teme l’orrore dell’errore, si tormenta così (e così rimpiange la spensieratezza di quando era solo una studentessa, quando ogni nottata folle era una breve eternità).
Claudio, sotto questo aspetto, è più pragmatico, forse solo più rodato e quindi disincantato. Ha una maggiore esperienza professionale, qualche sbavatura è fisiologica sul lavoro. «L’importante è accorgersene in tempo. A quel punto metterci una pezza e recuperare». Sono piccole abilità da prestigiatore o, se vuoi da baro. Si acquisiscono con gli anni (con la differenza di età, per l’appunto, che separa Claudio da Myriam). Il tempo domina, il tempo passa, la mattinata vola. Intorno alle tredici la pausa pranzo li coglie invariabilmente di sorpresa. L’orologio vivente è costituito dai muratori che smettono di darsi sulla voce, fra le impalcature che irretiscono il palazzo attiguo. Né Myriam, né Claudio sono dei cuochi provetti; amano la buona cucina, ma sanno essere spartani quando occorre. A tavola si raccontano gli impicci della prima parte di giornata; commentano i bollettini medici; si divertono a impersonare il personaggio dell’ottimista e del pessimista (la Scienza è una torre di Babele, ammettiamolo).
Il dopo pranzo – quei pomeriggi napoletani dalla luce oleosa – finisce assorbito dall’evasione delle scadenze lavorative, dalla gestione di errori e imprevisti. Il bello è che tutto questo, invece di snervarli, carica in loro il desiderio reciproco come fosse una molla. Così, quando la segregazione nei rispettivi spazi termina dopo le diciotto, Myriam e Claudio si sentono come due bambini. Hanno fatto i bravi, hanno rigato diritto l’intera giornata. Se la sono meritata la loro ricompensa, la caramellina... Così Myriam e Claudio fanno l’amore, in una beata autosufficienza. Senza fretta, dimentichi del mondo che arretra sullo sfondo, della strada che sta smaltendo il suo traffico ridotto. Finché, dopo tanto aspettarsi reciproco, non sopravviene quel grande abbaglio estatico: il loro sospirato piacere al morire del giorno. Allora si lasciano cadere ognuno nella propria piazza del letto, a prendere fiato. La luce di Napoli, fuori, è un polverio giallognolo. Tempo un minuto e si acciambellano l’una nelle braccia dell’altro. Sono giornate sempre uguali e prive di socialità, da un paio di mesi a questa parte. Un modo di vivere che inizia a sembrare perfino normale. Il loro sonno da esausti appare ugualmente fisiologico, una necessità naturale. Quello di Claudio, per la verità, lo si potrebbe definire un sonnellino. È lui, invariabilmente, a svegliarsi per primo (i giovani come Myriam hanno invece tanta fame di vita che di riposo). Claudio allora — un’altra costante — si stacca piano da Myriam. Lo fa con estrema delicatezza, come scollando le pagine di un libro pregiato. Gli piace, gli piace davvero contemplare Myriam addormentata su di un fianco. La breve eternità del suo passaggio terreno. Le sue lunghe gambe pallide, sottili. E quel dorso pieno, morbido che cela con una perfezione pittorica il rilievo di vertebre e scapole. Claudio ama contemplare indisturbato il corpo Myriam, tanto quanto meditare su di esso. Succede questo: la sua mano enorme, venosa rasenta la pelle di Myriam, scorre a qualche centimetro da essa, sfiora la massa dei suoi capelli sparsa sul cuscino. È un gesto facile da disprezzare se visto dall’esterno; di un romanticismo stucchevole. Il significato è più sottile. È come se Claudio volesse captare sotto mano i malanni nascosti di Myriam che pochissimi, oltre a lui, conoscono. L’apparenza di questo corpo più giovane della sua età rappresenta, infatti, una dissimulazione della Natura, ecco il punto. Le sue spalle levigate, ad esempio: sono lasche in modo congenito. Ogni tanto la testa dell’omero tende a uscire di sede, con un dolore lancinante. La sofferenza fisica sovrintende alla vita di Myriam dall’infanzia. Come un genio maligno, una cattiva stella. Myriam può brillare come un cristallo, ma porta in sé un’incrinatura sottile come un capello, profonda come un’incisione invisibile ai più.
Quante volte lei gli ha descritto i grappoli di fitte lancinanti che le si conficcano in testa. E che sprigionano, da un nucleo di spasimo incandescente, l’Aura. Un alone che, lentamente, abbruna la realtà intorno, la fa piombare in una notte temporanea. Al picco della crisi lei diventa momentaneamente cieca. Un mondo notturno la chiama a sé, per riportarla al suo regno. Ecco: la sofferenza fisica può spingerla fino alle soglie della sragione, fino al bordo di un abisso dove non hanno luogo i nomi. Il caos di Myriam, il suo grande disordine, era invece etichettato da una sfilza di nomi clinici. Diagnosi capaci di precipitare Claudio nell’angoscia di un interrogativo ricorrente: «come farò con te, come faremo con te?».
In quella prima persona plurale, lui includeva ipotetici alleati su cui gli sarebbe piaciuto fare affidamento. Ben sapendo peraltro che, se quei coadiuvanti fossero per avventura esistiti, lui ne sarebbe stato geloso.
Ora il lavoro agile ha sbrogliato a modo suo quel nodo. Myriam è accanto a lui, da mattino a sera. Lui può controllare il suo stato, minuto dopo minuto. Lei appartiene a Claudio, ora per ora. Per adesso il lockdown l’ha resa pienamente sua. «Come farò con te?». Ecco come.
❞ Quante volte lei gli ha descritto i grappoli di fitte lancinanti che le si conficcano in testa E che sprigionano da un nucleo di spasimo incandescente l’Aura. Un alone che, lentamente, abbruna la realtà intorno la fa piombare in una notte temporanea