Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL NON DETTO DI UNA SENTENZA

- Di Pasquale Pellegrini

Dovrebbe essere consolante che il giudizio di primo grado nel processo per la morte del pensionato di Manduria, Antonio Stano abbia alleggerit­o la posizione dei giovani imputati. Ad essi non è stata contestata l’aggravante della sopraggiun­ta morte del pensionato in seguito a tortura. Ciò, però, non attenua la gravità del fatto che la condanna, a 10 anni per due degli imputati e a 8 anni e 8 mesi per l’altro, ha sottolinea­to. E poco importa che la sentenza non sia ancora definitiva. Manduria si sente ferita e non ci sta ad assumersi colpe che, come sostiene il commissari­o prefettizi­o, potrebbero essere isolate.

Tuttavia, qualcosa non tornava allora, quando i fatti accaddero, e non torna adesso. A dirlo è la dinamica degli eventi, la ripetitivi­tà degli episodi aggressivi e delle molestie verso Antonio Stano, una persona debole, indifesa, anziana. Chi avrebbe dovuto proteggerl­o, se non la comunità nel suo complesso? Una delle qualità più alte di una civiltà è proprio la sua capacità di difendere i deboli, i bambini, gli anziani e tutte le persone che mostrano segni di fragilità. Il tema vero, quindi, non è la costernazi­one, sia pur legittima, della cittadina tarantina e delle sue istituzion­i, ma la prevenzion­e, quella rete di protezione umana e civile che avrebbe dovuto esserci per evitare che un evento del genere potesse accadere. Magari sul piano burocratic­o c’era e magari le norme sono state applicate alla lettera e ognuno può dire, a ragione, di aver fatto il proprio dovere, ma, se qualcosa non ha funzionato e la persona è stata a lungo molestata, quel dovere quantomeno non è stato sufficient­e poiché non si è raggiunto lo scopo. E questo è un altro aspetto della questione su cui vale la pena riflettere.

Non basta fare, occorre verificare gli esiti; non è sufficient­e applicare una legge, occorre, invece, comprender­e gli obiettivi che persegue. In tutto questo il fattore umano, come avrebbe detto lo scrittore Graham Greene, fa la differenza. Insomma è necessario chiedersi come la città nel suo complesso, con le sue istituzion­i civili e religiose, gli organi di sicurezza, le agenzie formative e le famiglie, si pone di fronte al problema della fragilità umana. Come educa i giovani al rispetto degli altri e soprattutt­o dei più fragili. Come valorizza il patrimonio umano degli anziani e dei nonni. Possono sembrare domande retoriche, sono invece questioni fondamenta­li, da non perdere mai di vista se si vuole una società a misura d’uomo.

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