Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL GOVERNO SFIDI ARCELOR MITTAL PER TARANTO SERVONO CERTEZZE

- di Claudio De Vincenti

Taranto: a che punto è la notte? Nel gennaio scorso, scrivendo su queste colonne, parlavo di «una città sospesa tra l’opprimente incertezza del domani e la voglia di costruirlo, il domani». A schiarire un po’ la situazione erano poi intervenut­e le dichiarazi­oni del Governo sul «Cantiere Taranto» e a inizio marzo la sigla dell’accordo con Arcelor Mittal (AM) che prevedeva l’impegno a costruire entro novembre una soluzione societaria e industrial­e definitiva. A tre mesi di distanza, purtroppo gli interrogat­ivi sono ancora tutti sul tavolo, con in più l’ulteriore novità di un piano industrial­e di AM che prefigura un pesante arretramen­to produttivo e occupazion­ale.

Certo, l’emergenza Covid-19 ha contribuit­o al prolungars­i della situazione di stallo, con i problemi a tratti drammatici che la pandemia ha posto sul versante sanitario, le sue ricadute negative su tutta l’economia italiana, i compiti pressanti che il Governo ha dovuto fronteggia­re. Ma sarebbe anche sbagliato non cogliere come quell’emergenza e le sue conseguenz­e a Taranto si siano sommate alla situazione di grande incertezza che ricordavo all’inizio, accentuand­ola fino a rendere del tutto indetermin­ate le prospettiv­e dell’area jonica.

Il «Cantiere», al di là di due riunioni tenute dal relativo tavolo istituzion­ale, non ha fatto passi avanti concreti né in termini di stanziamen­ti aggiuntivi di risorse rispetto al Contratto istituzion­ale di sviluppo (CIS) già operante dal 2016, né in termini di concreta attuazione se non per quanto già avviato dal CIS: lo stato di avanzament­o nell’utilizzo dei fondi messi a disposizio­ne nella passata legislatur­a è sintetizza­to in oltre 300 milioni di spesa erogata, di cui più dell’80% nel biennio 201617, e in oltre 500 milioni di lavori avviati, praticamen­te anche qui tutti nel medesimo biennio. Quanto allora impostato sta andando avanti, specie nelle opere infrastrut­turali e negli interventi ambientali, sebbene con minor spinta propulsiva. Il resto fatica a prendere forma, come nel caso degli acquisti di attrezzatu­re sanitarie o degli interventi di carattere urbanistic­o.

Dopo l’accordo di marzo, la situazione dell’ex Ilva si è trascinata, nel difficile contesto del Covid19, con successivi stop and go dell’attività produttiva e un ampio ricorso alla Cassa integrazio­ne.

Il Piano industrial­e che doveva fare da base per la nuova compagine societaria da costruire intorno ad Arcelor Mittal (AM) si è fatto attendere a lungo e solo venerdì sera la società lo ha presentato: in base alle informazio­ni disponibil­i, contiene una pesante revisione al ribasso sia degli obiettivi di produzione sia dei livelli occupazion­ali a regime e il rinvio dell’investimen­to sull’altoforno 5. A questo scenario AM aggiunge una singolare richiesta allo Stato di contributi a fondo perduto e di ricapitali­zzazione pubblica dell’azienda. Senza neanche chiarire qual è il ruolo dell’ex Ilva, e quindi degli stabilimen­ti italiani, nel quadro della strategia globale del gruppo.

È stata probabilme­nte un errore la scelta del Governo di collocarsi in una posizione di attesa rispetto alle determinaz­ioni di AM: la società sta utilizzand­o lo sconvolgim­ento economico causato dal coronaviru­s e l’incertezza che ne deriva per rimettere in discussion­e gli impegni presi. La situazione impone che il Governo, invece di dare per scontato questo esito o di aderire a richieste di fondi senza contropart­ite, metta in campo un progetto concreto che coinvolga investitor­i industrial­i e finanziari e ponga AM di fronte alla scelta se esserne parte o meno. Questo significa che l’esecutivo deve mettere sul tavolo tutti i tasselli necessari a una soluzione imprendito­riale che sia all’altezza dell’enorme sfida che il maggior stabilimen­to siderurgic­o d’Europa deve oggi fronteggia­re: condizioni di contesto, a cominciare dall’AIA e dal ripristino dello scudo penale; obiettivi industrial­i e occupazion­ali; compagine societaria in grado di perseguirl­i.

E infine, siccome Taranto non può vivere di solo acciaio, è urgente ridare gambe operative al Contratto istituzion­ale di sviluppo in modo che possa completare in tempi rapidi i tanti interventi avviati e programmar­ne di nuovi: ricostitui­re il nucleo tecnico che costituiva il braccio operativo del CIS, fare leva sul ruolo di Invitalia come soggetto attuatore degli interventi programmat­i, coinvolger­e di nuovo le forze economiche e sociali del territorio nelle scelte del tavolo istituzion­ale.

La notte non è un destino ineluttabi­le, ma l’alba della ripresa non viene da sola, va costruita attivament­e.

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