Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
RIPARTIRE DALL’EX ILVA
Quindicimila posti di lavoro in meno in Puglia. Il dato Istat confronta gli occupati a fine marzo di quest’anno, in pieno lockdown, con quelli medi del 2019. Allora erano un milione 234 mila, oggi sono calati a un milione 219 mila. Anche Unioncamere regionale aveva lanciato una previsione drammatica: a fine 2021 in Puglia ci saranno 20 mila imprese in meno, con una perdita di 69 mila addetti. Paventando peraltro una catena di fallimenti, con forti sofferenze per l’edilizia, il commercio, il turismo, leva decisiva dello sviluppo economico territoriale.
All’interno del comparto manifatturiero, i settori che debbono scontare le maggiori difficoltà sono la meccanica, i mobili e la moda. Ma ciò che più preoccupa è il tempo di recupero: non prima del 2025, quindi tra cinque anni. L’impatto della crisi conseguente al coronavirus sull’economia pugliese sconta inevitabilmente un vizio d’origine: circa mezzo milione di dipendenti pugliesi lavorano in aziende con meno di dieci unità. Ha ragione Pino Gesmundo, leader della Cgil, quando sostiene che queste attività godono di minori strumenti finanziari, manageriali e tecnologici per ripartire di slancio. Ecco perché, in questo contesto, le crisi industriali dei grandi gruppi che si profilano all’orizzonte rischiano di essere come benzina sul fuoco. Il pensiero va all’Ilva e al suo indotto.
Se, come tutti stanno ripetendo agli Stati Generali dell’Economia, la direttrice centrale su cui puntare è rappresentata dagli investimenti nel Green New Deal, allora proprio lo stabilimento di Taranto può assurgere a simbolo della svolta auspicata. Ridurre ulteriormente il perimetro di attività della siderurgia tarantina, come finora hanno mostrato di voler fare Mittal, comporterebbe non solo un inaccettabile peggioramento della disoccupazione regionale, ma anche la definitiva sconfitta della vocazione industriale della Puglia.
In tal modo si uscirebbe dal dilemma che per troppi anni ha paralizzato ogni decisione sull’Ilva, come coniugare tutela dei posti di lavoro e salvaguardia dell’ambiente, per percorrere la strada tracciata dal vicepresidente della commissione di Bruxelles Timmermans: lo stabilimento di Taranto dovrà essere inserito nel programma di decarbonizzazione per fabbricare acciaio con idrogeno, utilizzando i soldi del Recovery Fund, messi a disposizione dei governi per fronteggiare la pandemia. A quel punto non conterebbe più l’assetto della proprietà, se siano gli attuali privati o altri o il capitale pubblico italiano perché avremmo finalmente salvaguardato un’industria strategica per il futuro del Paese ed evitato il crollo dell’occupazione pugliese.