Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Due mostre al femminile C’è arte allo Spazio Murat
Da domani visitabili le esposizioni dedicate alle artiste Natalija Dimitrijevic e Maria Trentadue
Riapre lo Spazio Murat, dopo il lockdown, con una doppia mostra dedicata a Natalija Dimitrijevic (1995, Niš) e Maria Trentadue (1893-1977, Modugno), visitabile a partire dal 2 luglio. Si tratta di artiste, differenti per formazione, unite in un dialogo cronologicamente sfasato, ribadito nel titolo Natalija Dimitrijevic e Maria Trentadue che riporta ciascuno dei nomi semplicemente accostati da una congiunzione inclusiva, come sottolinea la curatrice Melissa Destino, perché: «In questo momento storico in cui un virus ha cambiato il nostro modo di vivere, è essenziale non dividere, ma unire».
La prima, serba, residente a Bari, ha al suo attivo convincenti esordi mentre la seconda è rimasta confinata in una dimensione periferica fino a quando la sua produzione, silente e fuori dal sistema, è approdata, dopo la sua morte, a un primo riconoscimento pubblico. Suo mentore, lo scrittore e poeta Tommaso Di Ciaula che organizzò del 1985, a otto anni dalla scomparsa, la prima mostra presso la galleria «Le Volte» di Modugno. Fecero seguito, nel 1990, quelle organizzata presso la Pinacoteca Provinciale di Bari e nel 2007 nella galleria Kunsthalle di Putignano, diretta da Vito Intini, divenuto un suo collezionista. Alla base del progetto (sostenuto dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bari e in collaborazione con Microba) c’è il proposito di mettere in relazione gli artisti emergenti con il patrimonio locale, riletto in chiave contemporanea e di avviare collaborazioni tra istituzioni, in questo caso, la Pinacoteca Provinciale «C.Giaquinto» da cui provengono alcune delle opere inserite nel percorso espositivo.
In altre parole, come ha sottolineato, in conferenza stampa, il sindaco Antonio De Caro, si tratta di unire presente e passato per delineare un possibile futuro. Tradotto in politiche culturali, secondo l’assessora Ines Pierucci, significa continuare sulla strada di una valorizzazione degli autori locali con cui guardare a panorami più allargati. Tornando alla mostra, le reciproche diversità e, viceversa, la comune riflessione intorno allo spazio domestico, si intrecciano in un doppio passo che scorta le due artiste: Dimitrijevic premurosa nel governare pittoricamente interni familiari da cui stanare relatras figurava zioni e ricordi, Trentadue dedita a sciorinare su ogni superficie di cui disponeva, brocche, vasi, cartone, bottiglie o lastre radiografiche, un intero mondo. Semplificato in una sintassi primitivista ma gravato da rimandi ad un magma archetipo che inglobava quanto poteva concedersi il suo orizzonte visivo, perimetrato dallo spazio ristretto della sua modesta abitazione. Immagini sacre, foto di famiglia, costituivano la sua iconografia di riferimento che in giocosi universi trattati con l’incuranza infantile verso le proporzioni, con un arcaico senso del colore e con un’attitudine a inondare la composizione di vivaci esuberanze decorative.
Vuoi anche la sua formazione di ricamatrice, travasata pittoricamente in una sensibilità al dettaglio. Su questa condivisa attenzione ai particolari le due artiste si incontrano, sebbene Dimitrijevic si serva di una figurazione spostata su un fronte concettuale. Le sue case sono aperte come scatole che hanno perso la tridimensionalità, ridotte a planimetrie abitate da oggetti e da elementi di arredo. Sono solo quest’ultimi a conservare i volumi in modo da consentire una rapida individuazione degli ambienti, cucina, bagno, camera da pranzo e così via. Da questa narrazione dello spazio, generalmente innervata da autobiografia e memorie familiari, l’artista, per la prima volta si impegna nel grande formato e costruisce un dittico in cui coesistono gli spazi occupati durante la pandemia, spalmati sul piano e alcuni elementi scorporati da quel contesto e offerti a più calibrate visioni. Distende quindi una gigantesca natura morta con frutta (la vediamo anche in piccolo sul tavolo nel pannello accanto), in condivisione con paesaggi nativi e con una scritta, parzialmente sotterrata nel colore che riporta in serbo i folkloristi «Saluti da…». Allucinate dilatazioni di un habitat in un salto di scala pari alla pungente nostalgia per la sua terra.