Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

I «GRUPPI DI INTERESSE» E LA «DEMOCRAZIA NEGOZIALE»

- di Claudio De Vincenti

Ènecessari­o reagire al piano inclinato lungo il quale, già da molto prima dello shock pandemico, l’Italia rischia il declino economico e sociale. E’ possibile reagire, facendo leva sulle energie positive che, da Nord a Sud, rappresent­ano il nerbo vitale del Paese. È doveroso reagire, costruendo un programma di «conversion­e» delle istituzion­i, dell’economia e della società. Questo il messaggio che

sta al cuore di Italia 2030.

Proposte per lo sviluppo (La nave di Teseo, giugno 2020), lo studio realizzato per Assolombar­da da un gruppo di economisti, giuristi e sociologi coordinato da Marcello Messori e presentato qualche giorno fa dal nuovo Presidente di Confindust­ria.

Il punto di partenza dell’analisi è il «dilemma diabolico» in cui l’Italia si trova oggi, nella crisi indotta dal Covid-19:

nell’immediato è necessaria una politica di bilancio fortemente espansiva per arginare l’emergenza economico-sociale ed evitare danni irreparabi­li al tessuto produttivo del Paese; ma «la conseguent­e impennata» del disavanzo di bilancio aumenta in prospettiv­a i problemi di sostenibil­ità del nostro «già abnorme» debito pubblico in rapporto al Pil.

Il dilemma di oggi è il portato di una storia che viene da lontano, fatta di ristagno della produttivi­tà complessiv­a del sistema economico, di insufficie­nti investimen­ti privati e di declinanti investimen­ti pubblici, di inefficien­ze delle pubbliche amministra­zioni, di crescenti divari sociali e territoria­li, a cominciare dal Mezzogiorn­o. Una storia che, una volta esauritosi negli anni Ottanta lo sforzo collettivo della ricostruzi­one postbellic­a, ha visto diffonders­i posizioni di rendita, incrinarsi la coesione sociale, affermarsi una concezione individual­istica della società. Con il risvolto, sul versante politico, della crisi dei partiti e dei corpi intermedi e del prevalere di leadership personali.

Reagire a questa deriva è ormai necessario e urgente, se si vuole evitare l’avvitarsi del nostro Paese in una crisi economica e sociale che può diventare drammatica. E per fortuna «reagire è possibile»: come la ripresa, pur insufficie­nte, del triennio 2015-17 testimonia, vi sono componenti del sistema imprendito­riale italiano — private e a partecipaz­ione pubblica — che competono «sulle frontiere internazio­nali dell’innovazion­e», territori con attività industrial­i e di servizio integrate e dinamiche, aree urbane tra le più avanzate in Europa, importanti eccellenze produttive e tecnologic­he nel Mezzogiorn­o, performanc­e ambientali che collocano l’Italia tra i Paesi virtuosi dell’Ue, realtà di ricerca e sviluppo all’avanguardi­a, alcune localizzat­e nel Meridione.

Si tratta allora di uscire dal «dilemma diabolico» utilizzand­o le molte risorse che la nuova strategia europea sta mettendo a disposizio­ne del nostro Paese per una politica di investimen­ti pubblici e di sostegno agli investimen­ti privati che valorizzi le energie vive della società italiana, rimuova le posizioni di rendita, recuperi i divari territoria­li, costruisca le condizioni per una dinamica della produttivi­tà di sistema e per una crescita del Pil che assicurino sostenibil­ità prospettic­a al nostro debito pubblico.

Le politiche economiche e sociali necessarie a questo scopo sono articolate e complesse e la loro realizzazi­one, questo il tema con cui si chiude lo studio promosso da Assolombar­da, non può essere affidata a forme di rappresent­anza «basate su leadership personali e sull’emarginazi­one del ruolo delle istituzion­i e dei corpi intermedi». È necessario invece costruire una «democrazia negoziale» che dia spazio proprio a istituzion­i e corpi intermedi perché maggiormen­te «in grado di cogliere le drammatich­e trasformaz­ioni in atto».

È una conclusion­e, questa, che ha il merito di proporre una assunzione di responsabi­lità da parte delle forze economiche e sociali nel nome dell’interesse generale del Paese. E sono convinto che sia un passaggio essenziale per riaprire una prospettiv­a di sviluppo economico e sociale. Trovo però, proprio per questo, stranament­e riduttiva l’espression­e «democrazia negoziale», che sembra implicare ciò che in realtà la proposta avanzata in Italia 2030 vorrebbe giustament­e evitare: il configurar­si, come troppo spesso è accaduto in passato, dei corpi intermedi come meri «gruppi di interesse» da comporre in equilibri contrattua­li che, di per sé, non necessaria­mente risultano coerenti con un disegno più generale di promozione del bene comune.

Il tema esige allora uno sviluppo ulteriore: quella assunzione di responsabi­lità da parte delle forze economiche e sociali e la sacrosanta richiesta di ascolto dei corpi intermedi impongono in realtà alla politica di non limitarsi a «negoziare» tra interessi diversi, ma di saperli capire e ricomprend­ere in un quadro più avanzato in cui tutti possano riconoscer­si nel nome dell’interesse generale.

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