Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Sistema Trani, condannati due pm
La sentenza del gup di Lecce: dieci anni di reclusione per Savasta, quattro per Scimè
Il «sistema Trani» esiste e a decretarlo, questa volta, è una sentenza. Il gup di Lecce ha condannato a 10 anni l’ex pm di Trani, Antonio Savasta per corruzione. Quattro anni al collega Luigi Scimè, anche lui sostituto procuratore a Trani. Condannato a quattro anni anche l’imprenditore Luigi D’Agostino, mentre gli avvocati Giacomo Ragno e Ruggero Sfrecola hanno rimediato due anni e otto mesi il primo e quattro anni e quattro mesi il secondo. Confiscato una somma di tre milioni di euro: i soldi di quello che i giudici considerano le tangenti in cambio dei processi aggiustati.
LECCE Si chiude con la condanna per tutti gli imputati il processo - in abbreviato - scaturito dall’inchiesta sulla «giustizia svenduta» al Tribunale di Trani, dove ricche tangenti allungate nelle mani di giudici e pubblici ministeri avrebbero pilotato l’esito di inchieste e processi in favore di alcuni imprenditori. Il reato contestato è corruzione. Dieci anni di reclusione per l’ex pm Antonio Savasta, quattro anni per il collega Luigi Scimè. E poi, ancora, quattro anni per l’imprenditore Luigi D’Agostino, due anni e otto mesi per l’avvocato Giacomo Ragno e quattro anni e quattro mesi per il collega Ruggero Sfrecola, entrambi del foro di Trani. Per i magistrati è stato deciso che non potranno assumere in perpetuo incarichi pubblici: decadono dalla magistratura con effetto immediato.
Ecco la sentenza emessa ieri mattina dal gup di Lecce, Cinzia Vergine, che ha inoltre disposto, come richiesto dall’accusa, la confisca del presunto vantaggio patrimoniale da loro conseguito: 2 milioni e 390mila euro per Savasta; 75mila euro per Scimè; 224mila euro per Ragno; 53mila euro sia per Sfrecola che per D’Agostino. Tutti dovranno inoltre risarcire le parti civili.
Il gup ha quindi confermato la «linea dura» per i magistrati che sarebbero stati pagati per dirottare indagini e processi. Il «vaso di Pandora» sulla presunta malagiustizia tranese fu scoperchiato dall’imprenditore Flavio D’Introno, che raccontò di avere allungato ai pubblici ministeri indagati oltre due milioni di euro, ma non solo. D’Introno, l’accusatore dei magistrati, è ora in carcere per scontare una condanna residua per usura, che tentò di evitare pagando.
I fatti abbracciano il periodo che va dal 2014 al 2018 e riguardano l’ormai ribattezzato sistema Trani, in cui soldi – ma anche viaggi, Rolex e diamanti - avrebbero consentito di addomesticare l’esito di inchieste e procedimenti penali e tributari, a favore di alcuni imprenditori disposti a mettere mano al portafogli per evitare guai giudiziari. Tra le accuse, contestate a vario titolo, vi sono quelle di: associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, concussione, truffa, calunnia, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale, falso in atto pubblico, induzione a rendere false dichiarazioni. Il gup Vergine ha confermato tutti i capi d’imputazione per i due magistrati a processo e limato le richieste di condanna del pm Roberta Licci (10 anni e 8mesi per Savasta e 4 anni e 4 mesi per Scimè), concedendo al primo il riconoscimento delle attenuanti generiche e della collaborazione.
Le ammissioni dell’ex pm di Trani - secondo la pubblica accusa «tardive e parziali» però, gli sarebbero valse soltanto uno sconto di otto mesi: «L’atteggiamento di importante collaborazione che è stato riconosciuto - dice l’avvocato Manfreda, uno dei difensori di Savasta - non è stato congruamente riconosciuto dal punto di vista del trattamento sanzionatorio. Chiedevamo l’assoluzione per alcuni capi d’imputazione, ma le nostre richieste non sono state pienamente accolte. Non condividiamo il risultato conclusivo: dopo avere letto le motivazioni della sentenza, approfondiremo e faremo presenti le nostre ragioni nel processo d’Appello». Savasta avrebbe svenduto la giustizia per soldi, favori ed un incontro con l’ex sottosegretario Luca Lotti, nel tentativo di ottenere un trasferimento. Andò ai domiciliari a marzo 2019 dopo due mesi e mezzo di carcere, proprio in seguito alle prime confessioni.
Il pubblico ministero Luigi Scimè, oggi a Salerno e tirato in ballo proprio da Savasta, era imputato per corruzione in atti giudiziari, per una presunta mazzetta da 75mila euro ricevuta da D’Introno, per intervenire a suo favore in due inchieste. Scimè ha sempre respinto le accuse ma è stato invece condannato come aveva chiesto l’accusa.
Strettamente collegata a questa inchiesta è il processo con rito ordinario per altri cinque imputati, tra i quali l’ex giudice Michele Nardi e l’ex ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro.
Le accuse Viaggi e diamanti per aggiustare i processi Confiscati tre milioni: i soldi della corruzione