Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Marcone: «Ora è un simbolo della dura lotta contro chi sfrutta»
«È diventato un simbolo di lotta ma qui la piaga non è sparita»
FOGGIA «Oggi è un giorno importante per i familiari di Hyso, per Libera per tutti coloro che in questi anni si sono impegnati per la verità e la giustizia». È il primo commento di Daniela Marcone (foto), vice presidente di Libera alla notizia dell’arresto di Luan Vrapi accusato di aver partecipato all’omicidio di Hyso Telharaj, ucciso a Borgo Incoronata nel settembre del 1999 perché si era opposto al caporalato.
L’arresto di Vrapi segna un’altra data importante nella vicenda di Hyso Telharaj e nella guerra al caporalato?
«La vita di Hyso è terminata la sera dell’8 settembre del 1999 ma il suo sorriso continua a raccontarci della forza del suo No e di quanto sia importante oggi, in questa calda e complicata estate post pandemia, continuare a impegnarci per i tanti lavoratori del comparto agricolo che vengono sfruttati e pagati pochissimo, in condizioni di vita e lavorative drammatiche. In ricordo del suo sorriso e del suo coraggio Hyso continuerà a camminare con noi nel segno di una memoria viva che si traduce tutti i giorni in responsabilità e impegno».
Lei ha conosciuto alcuni familiari di Hyso.
«Era il settembre del 2016 e alcuni fratelli di Hyso vennero in Italia per l’anniversario. Noi non facemmo manifestazioni pubbliche. Volevamo solo parlare tra noi. In realtà ci aspettavamo, come spesso accade in vicende come queste, che ci chiedessero anche un risarcimento per la morte del fratello. Loro, invece, non lo hanno mai fatto. Non hanno mai toccato questo argomento. Ci dissero solo che volevano vedere il luogo dove era morto il fratello».
Li portaste nel casolare dove fu ucciso il ragazzo?
«No. Nel casolare vivevano altri braccianti e decidemmo di non portarli. Ma li portammo nelle campagne circostanti dove aveva lavorato e dove aveva vissuto».
Cosa dissero?
«Ci dissero che quel giorno l’anima di Hyso finalmente era diventata una cosa unica. Fino a quella visita la sua anima era spezzata in due: una era rimasta in Albania dove era vissuto e una in Italia, dove era morto».
Le regalarono anche il passaporto del fratello.
«Si, è vero. Fu un gesto particolarmente toccante. Ci vollero per forza donare il passaporto di Hyso. Ricordo che ci trattarono e ci hanno sempre trattato, anche nei precedenti incontri, come persone di famiglia».
Cosa insegna la storia di Hyso.
«La storia di Hyso è una storia di vent’anni fa. Ma non possiamo dire che queste cose accadevano venti anni fa. La sua storia ci richiama a quello che ancora oggi accade nelle campagne del foggiano. Come vivono, e quello che sono costretti a subire per quel che riguarda lo sfruttamento. È una storia che deve chiederci di fare ancora di più»
Oggi c’è anche un vino che porta il nome di Hyso.
«Si, una cooperativa che gestisce un vigneto confiscato alla mafia ha realizzato un vino che porta il suo nome. Perché la sua vuole essere una storia di ribellione ma anche di rinascita e di riscatto. Il sorriso di Hyso, i suoi sogni devono graffiarci la coscienza per cambiare la storia. Altrimenti rischia di essere solo retorica».
Il riconoscimento Una cooperativa che gestisce un vigneto confiscato alla mafia ha realizzato un vino che porta il suo nome. Quel ricordo graffia l’anima