Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Con la Fondazione Pascali tutte le foto sul lockdown
In piena fase di ripartenza, arrivano aggiuntive testimonianze del lockdown dalla Fondazione Pino Pascali che presenta a partire da oggi «Camera con vista sul mondo» (sulla piattaforma museovirtualepinopascali.it in collaborazione con myphotoportal). Si tratta di una variante internazionale di quanto già fatto a marzo con «Camera con vista. La visione di 14 fotografi al tempo della pandemia», un resoconto, come del resto questo appena avviato, sugli spazi della reclusione domestica. La differenza, oltre ovviamente al cambio di testimone con nuovi autori, riguarda la dislocazione geografica dei partecipanti che inviano i propri contributi da Casablanca, Gerusalemme, Granada, Lecce, New York, Parigi, Tel Aviv, Teheran. Di questi luoghi lontani poco traspare della rispettiva iconicità da cartolina se non fosse per gli oggetti, cibi o per i dettagli di tipologie abitative ascrivibili solo a determinate latitudini. Ciò che unisce i fotografi, del resto, riguarda l’esperienza percettiva di un habitat familiare scontato allo sguardo e per tanto bisognoso di rinnovate attenzioni visive. La fotografia in questi casi cessa di essere semplice documentazione e diviene il portato di una meditazione sui luoghi del privato in cui riconoscersi e ritrovarsi attraverso relazioni, gesti o oggetti. Concetto ribadito anche da Francesca Gorgoni nel testo di presentazione: «prestare occhio e orecchio alle cose, significa (ri)scoprire il vedere come esperienza estetica e fonda una nuova attenzione verso la nostra vita, la vita vegetale, animale e quella della materia che sempre ci è attorno». Ulteriori punti di contatto tra i partecipanti (Roberta Agnese, Marina Arbib, Juman Daraghmeh, Michael Ebstein, Emanuel Fiano, Elisa Levi Sabattini, Samuela Pagani, Marie Rebecchi, Naoures Rouissi, Nina Sacerdoti, Francesco Siri, Maryla Vazquez, Gioele Zisa) sono la presenza silenziosa degli autori sottolineata enfaticamente, la restituzione soggettiva del mondo che implica nello spettatore una partecipe e ricostruttiva analisi dell’immagine, la natura sintetizzata nell’ hortus conclusus delle piante da appartamento, e infine la scelta formale, si direbbe postmoderna, di fare emergere tracce per consegnarle a nuovi ordini.