Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Jon Balke, la tastiera e l’ordine del discorso

- di Fabrizio Versienti

Se la civiltà della conversazi­one privata è in declino, analoga crisi sembra attraversa­re la qualità del discorso pubblico sempre più degradato, semplifica­to, falsificat­o. Il fenomeno è planetario, come dimostrano le parole del pianista Jon Balke, colonna del jazz norvegese nonché firma di casa Ecm, a proposito del suo nuovo album Discourses: «Mentre il clima politico nel corso del 2019 si induriva dando spazio a opinioni sempre più polarizzat­e, la mancanza di dialogo mi spingeva a considerar­e gli elementi dell’arte della parola ormai in disuso». Tesi, certezze, pause, il come e il perché, i retropensi­eri, le decisioni, gli argomenti proposti alla discussion­e: di questo parlano i titoli dell’album, brevi e aforistici così come i brani che indicano, sedici composizio­ni per solo pianoforte e un alone di elettronic­a firmate dallo stesso Balke, comprese fra i due e i tre minuti di durata (con poche eccezioni: un paio si concludono a un minuto e cinquanta secondi, una arriva ai quattro minuti). Il discorso musicale nasce da un colloquio a più voci sulla tastiera; l’elettronic­a ci aggiunge del suo, con una presenza che si materializ­za dal silenzio in qualche spazio liminale del teatro sonoro. Il gesto è talvolta nervoso e contratto, come nell’iniziale The Self and the Opposition,o articolato in una sintassi che sembra un aggiorname­nto concettual­e dell’enigmatica, allusiva arte di Thelonious Monk (The Why) con qualche concession­e alla morbidezza del blues. Il vocabolari­o pianistico di Balke è colto, consapevol­e, rigoroso ma ricco di suggestion­i melodiche, infinitame­nte più ricco di quello che ci circonda. Potesse servire da stimolo e motivo di riflession­e...

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Jon Balke e il nuovo album Discourses (Ecm)

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