Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Jon Balke, la tastiera e l’ordine del discorso
Se la civiltà della conversazione privata è in declino, analoga crisi sembra attraversare la qualità del discorso pubblico sempre più degradato, semplificato, falsificato. Il fenomeno è planetario, come dimostrano le parole del pianista Jon Balke, colonna del jazz norvegese nonché firma di casa Ecm, a proposito del suo nuovo album Discourses: «Mentre il clima politico nel corso del 2019 si induriva dando spazio a opinioni sempre più polarizzate, la mancanza di dialogo mi spingeva a considerare gli elementi dell’arte della parola ormai in disuso». Tesi, certezze, pause, il come e il perché, i retropensieri, le decisioni, gli argomenti proposti alla discussione: di questo parlano i titoli dell’album, brevi e aforistici così come i brani che indicano, sedici composizioni per solo pianoforte e un alone di elettronica firmate dallo stesso Balke, comprese fra i due e i tre minuti di durata (con poche eccezioni: un paio si concludono a un minuto e cinquanta secondi, una arriva ai quattro minuti). Il discorso musicale nasce da un colloquio a più voci sulla tastiera; l’elettronica ci aggiunge del suo, con una presenza che si materializza dal silenzio in qualche spazio liminale del teatro sonoro. Il gesto è talvolta nervoso e contratto, come nell’iniziale The Self and the Opposition,o articolato in una sintassi che sembra un aggiornamento concettuale dell’enigmatica, allusiva arte di Thelonious Monk (The Why) con qualche concessione alla morbidezza del blues. Il vocabolario pianistico di Balke è colto, consapevole, rigoroso ma ricco di suggestioni melodiche, infinitamente più ricco di quello che ci circonda. Potesse servire da stimolo e motivo di riflessione...