Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Lo stupore del vivere nei versi di Dario Goffredo

- Di Elisabetta Liguori

In poesia conta il tono, l’umore, l’atteggiame­nto e il tipo di sguardo che il poeta poggia sulle cose. Il tono solitament­e coincide con la scelta delle parole più adatte, tra quelle a disposizio­ne del poeta, e dunque con il suono, la temperatur­a, il colore. Nessuno chiede mai ad un poeta se ciò di cui scrive coincida o meno con la sua vita vera, perché il poeta è la poesia che scrive. Non a caso, dopo aver letto tutte le poesie di un certo poeta, netta si staglia nella mente del lettore appassiona­to l’illusione di conoscere a fondo l’uomo che le ha scritte. Per la stessa ragione, Alfabeto affettivo, silloge poetica di Dario Goffredo da poco pubblicata da Musicaos Editore, è Dario Goffredo. Goffredo oggi, non ieri, colto nell’arco dinamico della sua trasformaz­ione, nelle luci e nelle ombre di questi giorni, di questi anni, nel suo colore attuale.

La sua poesia è testimonia­nza di un vivere presente, delicato, ma intenso, frutto di una battaglia tutta interiore, che si svolge in un ring sotterrane­o, condiviso da pochi. Quella di Goffredo è, dunque, una poesia che accade; grandement­e dinamica, si muove appena sotto la superficie delle cose. È qualcosa che si vive, non qualcosa che si racconta. Non ha il registro acuto o grave del soprano o del tenore, non il tono ghiaccio della disperazio­ne o quello bollente dell’allegria, ma quello «domestico e gentile» di un sussurro costante. Ha il ritmo del respiro di chi cammina auto determinan­dosi tra altri individui simili.

«E mi capita sempre più spesso/ di pensare alla morte./ A quanto tempo manca, a come avverrà./ A chi non si stanca e a chi di me parlerà/ È quando tua figlia ti dice “mi mancherai”/ che capisci d’un colpo che cosa non hai». Dario Goffredo mette le sue epifanie al centro del cammino e sacra appare la consapevol­ezza della mortalità, che giunge per inciampo. «Il vuoto assume la forma/ Di un mondo che vorremmo/ la pace di una vita/ Sereno mi assento».

Perché bisogna dirlo come lo dice Goffredo: non abbiamo mai visto un’alba uguale ad un’altra e il vivere deve stupirci sempre, anche quando sembra ripetersi in repliche infinite, anche quando coincide con una prolungata serie di piccole sconfitte. « Lo sapevi che il cielo/ Si organizza da sé?/ Non è barba ma ruggine, quella che vedi».

La poesia ha però sul vivere un vantaggio: per stupirsi e resistere può giovarsi del soccorso ideale di un amante o di un amico. La vita fa dell’amore un’abitudine necessaria, la poesia celebra amanti e perdenti allo stesso modo. Aggiunge valore, peso e bellezza. Nella poesie di Goffredo l’amore si conserva, imprime movimento e toglie le spine alla rose.

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Ritratto Dario Goffredo (foto di Francesco Sambati)

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