Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Lo stupore del vivere nei versi di Dario Goffredo
In poesia conta il tono, l’umore, l’atteggiamento e il tipo di sguardo che il poeta poggia sulle cose. Il tono solitamente coincide con la scelta delle parole più adatte, tra quelle a disposizione del poeta, e dunque con il suono, la temperatura, il colore. Nessuno chiede mai ad un poeta se ciò di cui scrive coincida o meno con la sua vita vera, perché il poeta è la poesia che scrive. Non a caso, dopo aver letto tutte le poesie di un certo poeta, netta si staglia nella mente del lettore appassionato l’illusione di conoscere a fondo l’uomo che le ha scritte. Per la stessa ragione, Alfabeto affettivo, silloge poetica di Dario Goffredo da poco pubblicata da Musicaos Editore, è Dario Goffredo. Goffredo oggi, non ieri, colto nell’arco dinamico della sua trasformazione, nelle luci e nelle ombre di questi giorni, di questi anni, nel suo colore attuale.
La sua poesia è testimonianza di un vivere presente, delicato, ma intenso, frutto di una battaglia tutta interiore, che si svolge in un ring sotterraneo, condiviso da pochi. Quella di Goffredo è, dunque, una poesia che accade; grandemente dinamica, si muove appena sotto la superficie delle cose. È qualcosa che si vive, non qualcosa che si racconta. Non ha il registro acuto o grave del soprano o del tenore, non il tono ghiaccio della disperazione o quello bollente dell’allegria, ma quello «domestico e gentile» di un sussurro costante. Ha il ritmo del respiro di chi cammina auto determinandosi tra altri individui simili.
«E mi capita sempre più spesso/ di pensare alla morte./ A quanto tempo manca, a come avverrà./ A chi non si stanca e a chi di me parlerà/ È quando tua figlia ti dice “mi mancherai”/ che capisci d’un colpo che cosa non hai». Dario Goffredo mette le sue epifanie al centro del cammino e sacra appare la consapevolezza della mortalità, che giunge per inciampo. «Il vuoto assume la forma/ Di un mondo che vorremmo/ la pace di una vita/ Sereno mi assento».
Perché bisogna dirlo come lo dice Goffredo: non abbiamo mai visto un’alba uguale ad un’altra e il vivere deve stupirci sempre, anche quando sembra ripetersi in repliche infinite, anche quando coincide con una prolungata serie di piccole sconfitte. « Lo sapevi che il cielo/ Si organizza da sé?/ Non è barba ma ruggine, quella che vedi».
La poesia ha però sul vivere un vantaggio: per stupirsi e resistere può giovarsi del soccorso ideale di un amante o di un amico. La vita fa dell’amore un’abitudine necessaria, la poesia celebra amanti e perdenti allo stesso modo. Aggiunge valore, peso e bellezza. Nella poesie di Goffredo l’amore si conserva, imprime movimento e toglie le spine alla rose.