Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Bellomo e il dress code L’ex giudice in libertà ma rinviato a giudizio
Dress code, prima udienza fissata il 3 dicembre. Per l’ex giudice cade l’accusa di estorsione
L’ex giudice Francesco Bellomo è stato rinviato a giudizio per atti persecutori e violenza nell’inchiesta «dress code». Finisce a Roma l’indagine sulle minacce al premier Conte. Ieri il gip gli ha revocato i domiciliari. «Sono vittima di una persecuzione amorosa», ha detto.
BARI «Sono io ad aver subito una persecuzione amorosa e su questa storia scriverò romanzi. Sono concentrato sui procedimenti, mi interessa quello. E poi scriverò un libro, lo pubblicherò a breve, già sono pronte 2.500 pagine». Nel giorno del suo rinvio a giudizio e del ritorno in libertà (gli sono stati revocati gli arresti domiciliari) l’ex giudice del Consiglio di Stato, Francesco Bellomo, ha deciso di parlare. Ieri la decisione del giudice per le udienze preliminari, Annachiara Mastrorilli, di portarlo a processo non più per maltrattamenti ed estorsione ma per atti persecutori e violenza privata (accuse meno gravi) e la prima udienza è prevista per il 3 dicembre davanti al giudice monocratico di Bari. Sul suo incarico al Consiglio di Stato Bellomo dice che spera di tornarci, ricordando che «pende un ricorso al Tar del Lazio contro il mio licenziamento». E sono quattro i casi per i quali è finito a processo e le vittime sono quattro donne tra cui una ex borsista e una ricercatrice della sua scuola di formazione per la preparazione al concorso in magistratura alle quali avrebbe anche imposto il dress code per partecipare alle lezioni: minigonne, abiti scollati e sopratutto tacchi a spillo. Ma anche il controllo dei loro profili Facebook, le «prove di addestramento». A giudizio anche l’ex pm di Rovigo, Davide Nalis, accusato di concorso in maltrattamenti. Stralciata la posizione dell’avvocato Andrea Irno Consalvo, accusato di false informazioni al pm.
E nel giorno del rinvio a giudizio si sono attenuante anche le esigenze cautelari che lo avevano portato agli arresti domiciliari l’8 luglio del 2019 (arresti poi annullati dal Riesame e riconfermati un anno dopo dalla Cassazione e dal tribunale delle Libertà). Per lui resta il «solo» divieto di avvicinamento alle donne che lo hanno denunciato. Il clamore mediatico della vicenda «induce sicuramente» l’ex giudice ad una «maggiore prudenza nel ripetere comportamenti analoghi» e rende «decisamente avvedute potenziali vittime nell’approcciarsi allo stesso».
«Non è venuto meno il quadro indiziario», scrive ancora il magistrato, ma si sono attenuate le esigenze cautelari sulla base anche del tempo trascorso, della «apprezzabile condotta processuale ed extraprocessuale mostrata» dall’imputato. Andrà infine a Roma la parte del procedimento relativa alle presunte calunnie e minacce nei confronti del premier Giuseppe Conte all’epoca vicepresidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, e di Concetta Plantamura, rispettivamente ex presidente ed ex componente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su Bellomo quando nel 2017 fu sottoposto a procedimento disciplinare, poi destituito. «Accuse inesistenti», ha detto Bellomo. «Caduta l’accusa più grave di estorsione e restituita la libertà al dottor Bellomo. Un primo passo importante». Lo ha dichiarato l’avvocato Cataldo Intrieri che era sostituito ieri in udienza dall’avvocato Leonardo Bozzi. «Resta incomprensibile - aggiunge il legale - come questo processo si celebri a Bari dove nessun episodio si è svolto e dove riteniamo che vi siano evidenti questioni di opportunità che ne sconsigliano la permanenza in questa sede. Il malamore non è materia da tribunali». E Bellomo rilancia: «I fatti sono diversi da come sono stati raccontati e non ci sono parti civili».
Calunnia e minacce Udienza a Roma per le offese a Conte quando Bellomo era al consiglio di giustizia amministrativa
❞ Su questa storia scriverò romanzi Sono già pronte 2.500 pagine I fatti non sono andati così come sono stati ricostruiti e non a caso le ragazze non si sono costituite parte civile