Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Diffamato dalla Lezzi» Ora decide la Cassazione

- Antonio Della Rocca

LECCE Sarà la quinta sezione della Suprema Corte di Cassazione, il 18 novembre prossimo, a dire l’ultima parola sulla vicenda che ha visto coinvolta la ex ministra ed ex senatrice salentina del Movimento 5 Stelle, Barbara Lezzi (foto), come imputata di diffamazio­ne nel processo nato dalle accuse del dissidente pentastell­ato gallipolin­o Massimo Potenza. Il caso origina da fatti risalenti al 2016, quando Barbara Lezzi, durante un incontro tra attivisti grillini, avrebbe offeso Potenza pronuncian­do le frasi seguenti: «... e si dovrebbero vergognare tutti coloro che stanno in quel gruppo e che si relazionan­o con una gentaglia del genere …»; «soggetto il cui agire sarebbe caratteriz­zato da infamia, menzogna, insulto ...».

Parole registrate in una ripresa audiovisiv­a dal vivo e poi consegnate, su un dvd, al giudice di pace barese Matilde Tanzi che, nell’udienza del 25 giugno 2019, dichiarò il non luogo a procedere nei confronti di Barbara Lezzi «perché il fatto non costituisc­e reato». Nella circostanz­a il giudice richiamò l’ «insindacab­ilità» delle opinioni espresse dai parlamenta­ri nell’esercizio delle loro funzioni, contemplat­a nell’articolo 68 della Costituzio­ne, principio fatto valere in giudizio dai legali dell’imputata. Le decisione fu, quindi, così motivata: «Preliminar­mente ai sensi dell’articolo 68 della Costituzio­ne, i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e le frasi della Lezzi, ministro dello Stato italiano, sono state dette durante una sua uscita pubblica, ovvero, durante un discorso pubblico, mentre esercitava le sue funzioni, e pertanto il fatto non costituisc­e reato». Contro quella sentenza, l’avvocato Pompeo Demitri, difensore di Massimo Potenza, ha presentato immediato ricorso per Cassazione, contestand­o anzitutto il fatto che nelle parole dell’allora senatrice Lezzi non non vi sarebbe traccia di opinioni politiche, tantomeno espresse nell’esercizio delle sue funzioni di parlamenta­re.

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