Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Meredith Monk e il gioco della memoria
Nel 1983, durante una residenza artistica allo Schaubühne in una Berlino ancora divisa dal muro e in piena escalation di tensione da guerra fredda, la newyorkese Meredith Monk compose un lavoro di teatro musicale, The Games, sottotitolato a science fiction opera: una distopia nella quale si immaginava un’umanità futura sopravvissuta alla distruzione del pianeta migrando nello spazio e portando con sé dei frammenti di memoria della vita di un tempo. Parliamo di quarant’anni fa, ma evidentemente da allora il gusto per la distopia non ha fatto che crescere attraverso romanzi e serie tv, insieme all’allarme per il futuro del pianeta: e se all’epoca si temeva l’olocausto nucleare, oggi sono soprattutto il riscaldamento globale, le catastrofi e le pandemie a occupare le menti e a fare ombra al futuro. Così, quando ha preso corpo l’idea di una collaborazione discografica con l’ensemble Bang on a Can quel materiale ha immediatamente occupato il centro del programma, al punto che il cd ora pubblicato ne comprende cinque brani e s’intitola non casualmente Memory Game. Da un lato Meredith Monk, cantante-musicista-performer che ha segnato la scena del minimalismo (in senso ampio, attraversando arte musica e teatrodanza), con l’irriducibile alterità delle sue mille voci, delle sue cantilene inquietanti, delle sue melodie così struggenti; dall’altro un ensemble da camera (dove gli strumenti della tradizione convivono con l’elettronica) che ha costruito il suo repertorio scegliendo di volta in volta di confrontarsi con i compositori più estranei all’accademia. E i risultati non deludono certo le attese: ascoltate Memory Song, con il suo elenco di parole e oggetti salvati dall’oblìo, di quella che una volta era la Terra.