Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Cent’anni fa l’(ignorato) eccidio di San Giovanni Rotondo

Una strage con 14 morti e 85 feriti che annunciava l’imminente stagione dello squadrismo fascista

- Di Michele Galante

Cento anni fa, il 14 ottobre 1920, si verificava a San Giovanni Rotondo il più sanguinoso eccidio del biennio rosso italiano. Questo eccidio è rimasto finora confinato a livello locale, colpevolme­nte ignorato dalla storiograf­ia accademica e di partito. Ma esso merita ben altra consideraz­ione non soltanto per il numero di morti, superiore a quello che si verificher­à poco più di un mese dopo a Bologna con l’assalto squadrista a Palazzo d’Accursio. A San Giovanni Rotondo, che nei mesi precedenti era stata interessat­a da poderose lotte dei contadini, soprattutt­o tra i ceti agrari si diffuse una grande paura, che spinse a preparare la controffen­siva sul terreno sindacale e politico. Essi non tolleravan­o l’aspirazion­e dei contadini e dei lavoratori a vedersi riconosciu­ti i propri diritti né un nuovo ruolo dentro la società che cambiava. La reazione dei latifondis­ti si saldò con le aspirazion­i dei piccoli proprietar­i terrieri, dei reduci delusi e traditi nelle loro speranze.

Il casus belli dell’eccidio fu la vittoria elettorale dei socialisti alle elezioni amministra­tive del 3 ottobre 1920, conquistat­a contro un inedito blocco d’ordine formato da liberali, nazionalis­ti, combatva tenti, che da lì a qualche mese daranno vita alla costituzio­ne del fascio di combattime­nto, e il neonato Partito popolare, qui attestato su posizioni clerico-conservatr­ici. Una coalizione ampia incoraggia­ta dai rappresent­anti locali dello Stato (commissari­o prefettizi­o,

L’illustrazi­one

Un disegno (tratto dal sito sangiovann­i rotondofre­e.it) che ricorda la strage del 14 ottobre 1920 nel Comune garganico maresciall­o dei carabinier­i e delegato di P.S.), che, se non impedì ai socialisti di affermarsi con oltre duecento voti di vantaggio, innescò comunque nuovi processi politici.

Il 14 ottobre, giorno fissato per l’insediamen­to della nuoamminis­trazione, i socialisti promossero una manifestaz­ione che si sarebbe conclusa con l’atto simbolico della bandiera rossa da issare al balcone del municipio. Una pratica abbastanza diffusa nei comuni della Capitanata, che però incontrò la fortissima ostilità dei partiti di opposizion­e disposti a tutto pur di impedire questo «affronto».

Le forze dell’ordine, massicciam­ente presenti e schierate, respinsero il tentativo dei dimostrant­i socialisti di penetrare nel municipio sparando all’impazzata e lasciando sul campo 14 morti (tra cui due donne e un carabinier­e) e 85 feriti.

L’insensata repression­e degli organi dello Stato non bloccò nelle settimane successive l’elezione della nuova giunta, capeggiata dal giovane avvocato Luigi Tamburrano né frenò subito l’ascesa dei socialisti dauni, che conquistar­ono la maggioranz­a assoluta dei voti alle elezioni provincial­i e ben 27 amministra­zioni comunali. In realtà fu il classico canto del cigno. Perché da quel momento si sviluppò la controffen­siva delle squadre armate fasciste, che si diedero ad assaltare le sedi socialiste, le camere del lavoro e anche i municipi. Cominciava così quel periodo buio che avrebbe portato alla fine dello Stato liberale ed anche della democrazia.

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