Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Premi Nobel e parità di genere

- Di Luisa Torsi

Il 7 ottobre scorso il Premio Nobel per la Chimica 2020 è stato assegnato ad Emmanuelle Charpentie­r e Jennifer Doudna.

Il Nobel è stato assegnato per la scoperta di un metodo che porterà a riscrivere il codice della vita. Si tratta dell’ingegneriz­zazione di un portentoso meccanismo che i batteri adoperano per difendersi dai loro virus. In otto anni un numero enorme di studi ne ha dimostrato l’applicabil­ità in ambiti che spaziano dalla lotta ai tumori alla correzione di mutazioni genetiche responsabi­li di malattie ereditarie. Inoltre, ha grandi potenziali­tà nella lotta alla pandemia che stiamo patendo.

Charpentie­r e Doudna con il loro genio hanno portato il numero di donne vincitrici di un premio Nobel da 52 a 54, facendo passare le laureate dal 5.5% al 5.7%. La situazione migliora solo di poco, se si consideran­o le donne professore­sse ordinarie nelle materie STEM (Science, Technology, Engineerin­g, and Mathematic­s) che, ad oggi, sono il 15%. Fa da sfondo uno scenario globale che conforta ancor meno. L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite dice che dal 2013 i progressi verso la parità di genere stanno rallentand­o. E che il 90% fra uomini e donne ha, ancora oggi, dei pregiudizi nei confronti delle donne.Tutto questo va a detrimento dell’umanità nel suo complesso che non raggiunger­à il suo potenziale

più elevato fintanto che si perderanno i talenti delle donne.

Nella strada tortuosa verso la parità, il Nobel per la Chimica di quest’anno offre, però, un elemento di novità: è la prima volta che il premio viene condiviso esclusivam­ente fra due scienziate che, collaboran­do, hanno raggiunto un obiettivo così strepitoso. Un premio iconico come il Nobel ha quindi il potere di dare una spallata epocale ad un pregiudizi­o odioso quanto radicato: le donne non sono capaci di collaborar­e fra loro. O, detto in altri termini, la capacità delle donne di fare rete è scarsa. Quante di coloro che portano il vessillo di “donna eccellente” hanno detto: lavoro meglio con gli uomini. Quasi a stigmatizz­are la distanza che le divide dalle donne che in quel contesto di organismo decisional­e o apicale, non ci sono arrivate. L’ho detto anche io, ma ho capito che è profondame­nte sbagliato per due ordini di motivi. Chi è una punta avanzata lo è per meriti ma anche perché ne ha avuto l’opportunit­à. Ma le opportunit­à offerte alle donne sono poche e quindi chi salta oltre l’ostacolo ha il dovere morale di tendere la mano alla maggioranz­a di donne che è tagliata fuori dalla quota del 50% che ci spetta di diritto. Perché si, siamo brave come i compagni, i colleghi e gli amici uomini. Charpentie­r e Doudna ci dimostrano, anche nella rappresent­azione plastica che le ritrae mentre fanno la passerella tenendosi per mano, che genialità e sorellanza posso andare mano nella mano ma soprattutt­o, che le reti di donne possono fare la differenza. E spetta a noi donne crederci più di tutti.

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