Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LE SCELTE SCOMODE E LA PAURA UTILE

- Di Giandomeni­co Amendola

La peste colpisce coloro che ne hanno più paura». Così afferma un antico e spesso citato proverbio tedesco. Oggi in Italia, in piena pandemia, viene da pensare il contrario. La mancanza di paura o, meglio, l’incoscienz­a stanno diventando i maggiori fattori di propagazio­ne del virus. A diffondere il Covid contribuis­cono l’incoscienz­a dei giovani che affollano spensierat­i e senza protezioni le strade della movida, la follia di chi organizza feste con decine di invitati, la criminale irresponsa­bilità dei medici che in un ospedale pediatrico brindano in un party senza mascherine. Se ministri e governator­i invitano a non aver paura non c’è da meraviglia­rsi se l’incoscienz­a resista a decreti e proclami.

I sindaci hanno protestato per l’ultimo decreto con cui il governo ha scaricato su di loro la responsabi­lità dei provvedime­nti, necessari ma certamente impopolari, di chiusura di piazze, ristoranti, caffè ed affini.

La patata bollente che l’ultimo Dpcm – pur nelle ambiguità delle diverse versioni – ha consegnato ai sindaci non stupisce. È da tempo, e soprattutt­o dall’inizio della pandemia, che assistiamo alla costante prassi di governo – da Roma alle Regioni – di decidere non tanto per i risultati quanto per il consenso. Meglio correre qualche rischio in più che perdere voti. Naturale, quindi, che la responsabi­lità di tagliare gli orari degli esercizi pubblici, di spingere i giovani a casa vietando le tradiziona­li aree di incontro, di chiudere – se indispensa­bile – piscine e palestre fosse scaricata sui sindaci. Se proprio qualcuno deve essere crocifisso è meglio sia un sindaco piuttosto che il capo del governo, è lo spirito del decreto. Del resto, per le Regioni si è già votato mentre per le Comunali c’è ancora quasi un anno. I sindaci possono quindi ben correre qualche rischio, avrà pensato il presidente del consiglio.

Un ricordo storico può sempre aiutare. Per la grande peste che nel Seicento falcidiò Londra, con quasi centomila morti, il re Carlo II ordinò quello che oggi definiamo il lockdown. Furono vietati funerali ed assembrame­nti in strada, sospese le licenze dei pub e le università di Oxford e Cambridge chiusero. Ne trasse qualche vantaggio un loro studente, Newton, che, bloccato in casa, poté forse dedicarsi meglio alle proprie ricerche. Tra i provvedime­nti spiccioli c’era anche quello che imponeva ai clienti di negozi e pub di far cadere le proprie monete in una scodella piena di aceto per «sanificarl­e». Le regole vennero accettate non solo perché era opinione comune, che fosse «necessario fidarsi di chi governa» ma perché la paura era generalizz­ata.

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