Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Una Bari da ridere La sitcom «Il Polpo» compie trent’anni
In onda su Telenorba, scritta da Gennaro Nunziante con Toti e Tata, è stata l’istantanea fra satira e cronaca di una baresità che di lì a poco sarebbe scomparsa. Parodia de «La Piovra», fu vettore di un’ironia che l’allora classe dirigente non comprese
Rispondendo alla domanda che più frequentemente gli rivolgono («quanto ci è voluto»), oltre a quello della stesura gli autori contabilizzano anche il tempo del concepimento di un’opera. Come se averla pensata, fatta sedimentare e poi scritta rappresenti un unico processo produttivo, ma al germe dell’intuizione si faccia risalire l’innesco del counter. Se lo prendiamo come assunto, allora c’è da festeggiare un compleanno. E che compleanno. Trent’anni de Il polpo, la fiction più amata della televisione privata italiana. Per dare un’idea, durante il lockdown (dal 2 al 24 aprile scorsi) Telenorba l’ha ritrasmessa «facendo registrare un incremento di ascolti del 68 per cento» dice Gennaro Nunziante, l’autore a cui universalmente viene attribuito il merito di quell’incredibile successo.
Trent’anni fa a Taranto
Nell’autunno del 1990, sotto contratto con Studio Cento, Emilio Solfrizzi e Antonio Stornaiolo si trovano a Taranto. «In un albergo della città vecchia – racconta Stornaiolo – non ricordo quale, è passato troppo tempo». Lì nasce il personaggio di Savino Polipacchio, estorsore che incendia attività commerciali come investimento per quelle adiacenti, perché l’eco mediatica è tale da attrarre turisti, clienti e nuovi investitori. Polipacchio – di cui ci sono pochissime tracce – è la scintilla della rivoluzione gergale e culturale a cui ambiscono Emilio e Antonio (questa ricerca, invece, è merito esclusivamente loro).
Tornati da Bologna trovano in Bari una città piena di fermenti ma anche sotto il ricatto di antichi luoghi comuni, di una borghesia mummificata e di un’emancipazione antropologica mai compiuta, così per il duo quel Polipacchio si trasforma nell’intuizione all’origine della feroce ironia de Il polpo, del desiderio di irridere la criminalità mettendo a nudo il suo infantilismo (che suggerì la contesa del prezzemolo tra gli Inpetto e i Sanguellatte). «Ricordo che questo piccolo personaggio aprì le porte a molte altre intuizioni, schiuse un universo comico fatto di false buone intenzioni e massacri a fin di bene – aggiunge Stornaiolo –, proprio perché incarnava l’essenza della criminalità. Sostituirsi allo Stato attraverso un altro Stato, con leggi e dinamiche proprie. E dentro queste dinamiche, Polipacchio era un poveraccio che però riusciva a terrorizzare tutti, a imbrigliare le prede come fanno i polpi».
Bari e la «religione dei polpi»
In una città come Bari, in cui il polpo non è mai stato una pietanza ma una religione laica, l’idea di un rozzo criminale locale che senza mezzi tiene sotto scacco la comunità sembra un po’ troppo. «Qualcosa andava aggiustata – prosegue Antonio Stornaiolo, portavoce di quel ricordo –, queste almeno le intenzioni. Poi fummo travolti da tutto il resto, e lì per lì non ci pensammo più». Tutto il resto sono l’insperato successo di Filomena, coza depurada, che Telebari mandò in onda dall’8 giugno al 25 luglio 1992 (42 episodi da 10 minuti, con ascolti impensabili per quei tempi); Tele Durazzo, show sarcastico che in buona sostanza invitava gli albanesi a starsene a casa loro perché qui non avrebbero trovato l’eden che cercavano (e con cui sancirono il passaggio a Telenorba, 29 episodi dal 5 aprile all’8 maggio 1993). Fin qui la storia, a cui però – come spesso succede in questi casi – si sovrappone la leggenda. E riguarda un caffè, consumato un pomeriggio dell’aprile 1993, al Saicaf di Bari. Di fronte a uno dei tanti passanti che riconoscendo Toti e Tata si fermavano a salutarli, chiedergli un autografo o stringergli le mani, Solfrizzi avrebbe risposto «te li mangi i polpi!?, allora ci vediamo presto… ». Chi era presente sostiene che Il polpo sia nato lì, in quel preciso momento, per saldare il conto in sospeso con “Savinuccio” Polipacchio. Altri invece che fosse tutto già pronto, che Telenorba avesse sottoscritto col trio Solfrizzi, Stornaiolo, Nunziante, con Vito Capuano alla regia, un contratto che prevedeva tre produzioni (Tele Durazzo, Il polpo e la non trascendentale Melensa).
Prescindendo dalla travolgente fortuna de Il polpo, tra storia e leggenda restano il fotogramma di quella folgorazione e l’istantanea di una baresità che da lì a poco sarebbe scomparsa. Oggi Bari è una città molto diversa, anche se non ha ancora completato quel percorso di emancipazione ed ha cristallizzato gli scalini sociali che Filomena, coza depurada aveva denunciato: la borghesia di quella fiction, fatalmente attratta dal Circolo della vela e dai villoni di Poggiofranco, è grossomodo la stessa del crac della Banca popolare. Così come l’ironia che sdoganò all’attenzione dell’opinione pubblica estorsioni, contraffazioni e traffico di droga ne Il polpo, forse non fu completamente compresa dall’allora classe dirigente e, al contrario, quel coraggio così audace e corsaro rimase a tratti indigesto(alcune associazioni raccoglievano firme per interromperla, magari le stesse che oggi hanno visto in Gomorra un «invito alla ribellione etica»: ecco, Toti e Tata ne parlavano già quando ascoltavamo La solitudine della Pausini).
Va detto che fiction così lungimiranti, girate e trasmesse ormai 30 anni fa, precorsero i tempi forse con troppo anticipo. «Ne sono convinto – conclude Stornaiolo – ci siamo spinti oltre, eravamo troppo avanti rispetto al nostro tempo. Ecco, paradossalmente non eravamo contemporanei. Nel senso che abbiamo avuto la visione del tempo che sarebbe stato, non di quello che vivevamo. E l’abbiamo pagata cara, siamo rimasti uno straordinario fenomeno comico regionale proprio per questo, perché abbiamo osato troppo in prospettiva. Quel prodotto, mutuato ai tempi e alle tecnologie di oggi, probabilmente farebbe di me ed Emilio i comici più popolari del Paese. Il polpo era avanguardia pura».
Buon compleanno, dunque, alla scommessa che Luca Montrone seppe fiutare; alla fiction più longeva che sia mai prodotta da un’emittente privata (così è ancora, a giudicare dalla musica che ascoltava il brigadiere Saragot, Romano Morea). In attesa del trentennale della messa in onda (7 giugno – 17 luglio 1993), ci piace pensare che a fare gli auguri a tutti pensi il commissario Cosimo Ciambotto, interpretato magistralmente da Gianni Ciardo, con una delle sue telefonate: con la prossemica che contiene tutta la falsa timidezza, l’indole tragicomica e la tendenza all’immortalità dei baresi.