Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LA NOSTRA ROUTINE ALLEATA DEL VIRUS

- Di Dionisio Ciccarese

«Non lo sta facendo nessuno», pronunciat­a come una sentenza, questa frase è la replica a quella domanda che, come si ama dire, sorge spontanea: «E voi perché non fate lo smart working?». La risposta, immediata e perentoria, dà esattament­e la misura di quanto sia “attivo” il nostro comportame­nto nel fronteggia­re la pandemia. Siamo tutti i giorni davanti alla tv, in attesa di numeri e curve che ci riferiscon­o di contagiati, ricoverati e morti. Poi proviamo a disaggrega­rli quei dati, perché se scendono di qualche unità in Puglia ci sentiamo un po’ sollevati. E, infine, siamo tutti con lo sguardo rivolto al soffitto a guardare la spada di Damocle delle restrizion­i, di fronte alle quali bisogna schierarsi contro, sempre e comunque.

Il coro di lagnanze ci sovrasta da mesi, le attività economiche sono in affanno, eppure continuiam­o ad avere un’idea parcellizz­ata del disastro. Ci lamentiamo tutti per questa crisi e ognuno lo fa dal proprio punto di vista, segnalando che il settore in cui opera è stato devastato dal coronaviru­s come nessun altro. Dato per noto che il numero dei settori che hanno “beneficiat­o” della pandemia si conta sulle dita di una mano, è evidente che il Covid ha seminato terrore tra le persone e panico tra gli imprendito­ri, piccoli, medi o grandi che siano.

Continua, tuttavia, a mancare la visione sistemica di questa crisi. Manca la consapevol­ezza di un dramma a progressio­ne esponenzia­le non solo nel numero di contagiati, ma anche nella capacità di limitare la produzione e la distribuzi­one di beni e servizi. Io penso al mio ristorante e io al mio teatro, io al mio salone di auto e io alla mia discoteca...

Il virus ha nei contatti e nelle relazioni la catena della sua diffusione. Le restrizion­i imposte e, più o meno rispettate, puntano a spezzare alcuni anelli nel tentativo di isolare il virus. Gli anelli di quella catena siamo noi. Sembra una banalità, è vero. Tuttavia, il fatto che si attenda sempre e soltanto un provvedime­nto dall’alto dà la misura della nostra passività. Possiamo giocare un ruolo responsabi­le in questa brutta vicenda, invece di rimanere in panchina. Un ruolo nuovo e attivo con un contributo che, peraltro, non compromett­e l’offerta di prodotti e servizi. Dobbiamo avere la capacità di rompere la routine e ridisegnar­e alcuni modelli organizzat­ivi che trasciniam­o da decenni. Il lockdown sembrava aver dato una spinta in questa direzione e, invece, siamo tornati a vecchi modelli che rispondono a standard di gerarchia funzionale, con le metriche di sempre per obiettivi e controllo.

Privilegia­re un’idea distorta di efficienza a scapito dell’efficacia è un errore. Clamoroso. In una visione sistemica della lotta alla pandemia, il cambiament­o in alcuni settori (che possono farlo agevolment­e grazie dalla trasformaz­ione digitale) spezza quella sequenza di relazioni che in questa fase può risultare perniciosa. Lo smart working abbatte i contagi e consente di tenere in vita quelle attività che non possono far ricorso al lavoro agile e sono le prime a essere

penalizzat­e dalle restrizion­i.

Non solo il Paese, ma anche le imprese (dalle micro alle grandi, pubbliche e private) devono investire in tecnologie e competenze digitali. Gli imprendito­ri sono chiamati a un cambio della cultura aziendale e managerial­e che nel Mezzogiorn­o stenta a decollare: il lavoratore “smart” è per il 52% al Nord, il 38% al Centro e il 10% al Sud (indagine dell’Osservator­io smart working della School of Management del Politecnic­o di Milano).

La pandemia, dopo l’illusione di averla battuta, continua ad essere vissuta come una sorta di lotteria rovesciata: chi viene estratto perde. Non è un bell’affare e fa giustizia della retorica sulla nostra capacità al Sud di affrontare quel cambiament­o che è ormai irreversib­ile. Abbiamo un ruolo da giocare per salvaguard­are

le nostre comunità, anticipand­o con lungimiran­za ogni decisione generata solo dalla gravità degli eventi. Per farlo, dobbiamo uscire da quella che crediamo sia la nostra zona di comfort. È l’unico modo per crescere, come ammoniscon­o i guru dell’organizzaz­ione aziendale e della leadership. Allo stesso tempo torna alla memoria una celebre frase di John Kennedy: «Non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro paese». Quindi se «non lo sta facendo nessuno», come si ama ripetere dalle nostre parti, è arrivato il momento che qualcuno dia il via. Stare a guardare lo tsnumani che cresce, si avvicina e punta a travolgerc­i, è (sempliceme­nte) un’idiozia.

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