Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Sansò e i maremoti «Vi spiego perché la Puglia è a rischio»
È una delle regioni più esposte ai maremoti. L’esperto Sansò: «Vi spiego il perché»
«Lo schiaffo di Poseidone, conoscere e prevenire i maremoti» è il titolo del saggio, con tanto di riferimento mitologico al dio del mare, firmato da Paolo Sansò, professore associato di Geografia fisica e Geomorfologia all’Università del Salento, cui si ispira l’omonimo webinar fissato per il 6 novembre prossimo. Un’iniziativa con cui la Puglia celebra il World Tsunami Awareness Day 2020 (5 novembre), ideato per innalzare il livello di consapevolezza e attenzione sui rischi connessi ai maremoti. Eventi, questi ultimi, ai quali, come spiega lo stesso autore, gli 865 chilometri di coste pugliesi, senza alcuna esclusione, sono esposti.
Professor Paolo Sansò, quanto è concreto il rischio di un maremoto con effetti significativi sulle coste pugliesi?
«La storia dimostra che i maremoti si possono verificare anche da noi, ma l’impatto sarebbe mitigato da alcuni fattori».
Quali?
«La linea di costa frastagliata, la profondità variabile dei bacini. Ciò fa in modo che la forza del maremoto si smorzi prima di arrivare a terra, al contrario di quanto avviene nei maremoti oceanici. Nel 265 dopo Cristo, un terribile terremoto al largo di Creta produsse un maremoto che si propagò addirittura fino al medio Adriatico, all’altezza di Dubrovnik, ma toccò anche le coste siciliane e pugliesi».
I maremoti sono considerati tra le calamità più devastanti e letali, come dimostrano le 260mila vittime nei 58 eventi registrati negli ultimi 100 anni.
«Sì, anche se sulle nostre coste abbiamo i cosiddetti maremoti locali. Per questi il vantaggio è che non si propagano molto, mentre lo svantaggio sta nel fatto che non danno molto tempo per evacuare la fascia costiera. Il maremoto arriva pochi minuti dopo la scossa sismica».
Le coste italiane sono particolarmente esposte?
«In particolare quelle dell’arco ionico, ma anche quelle adriatiche, da Pescara in giù».
Lo si deduce dalle fonti storiche o da studi scientifici?
«Storicamente si è visto che i maremoti hanno interessato la Puglia e la Sicilia. Nel Salento ne abbiamo avuti almeno due piuttosto forti, uno di questi il 20 febbraio del 1743, dopo un terremoto con epicentro nel Canale d’Otranto, a circa 50 chilometri a Sud-Est dalle coste salentine».
Con quali conseguenze?
«Sulla morfologia delle aree costiere, ma per fortuna senza effetti sulla popolazione, perché a quel tempo le coste del Salento erano praticamente disabitate».
Quali tracce morfologiche avete rilevato?
«Enormi blocchi di roccia sono stati staccati dalla costa di Torre Sant’Emiliano e scaraventati fino a 150 metri all’interno della linea di riva. Sono centinaia di massi che noi chiamiamo cordoni, il più grande dei quali pesa circa 70 tonnellate. Sul versante ionico abbiamo osservato fenomeni simili che risalgono al maremoto del 1832 al largo di Rossano Calabro».
Fenomeni ancora ben visibili?
«Sì, a Torre Squillace, sulla costa di Nardò, mentre a Porto Cesareo, nella zona della Strea, ci sono sedimenti sabbiosi trasportati dal maremoto».
Il rischio è ancora attuale?
«Per il Salento sì».
Parliamo di prevenzione allora.
«Venerdì scorso, dopo il sisma nell’Egeo, si è diffuso un allarme tsunami rivelatosi poi infondato. Ma, come ho detto, i tempi di reazione per noi sono brevissimi. Visto che passano 10-15 minuti dall’evento sismico fino agli eventuali effetti sulla costa, i sistemi di allerta con le boe non offrono garanzie».
Come prevenire allora?
«Chi si trova sulla costa deve capire subito ciò che sta accadendo».
In che modo?
«Se si viene a sapere di un terremoto in Albania, ad esempio, ci si deve allontanare dalla costa. Meglio sarebbe non andare al mare. Attenzione anche se si vede il mare che si ritira, altro fenomeno precursore del maremoto. Evento raro, ripeto, ma possibile».