Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Arciuli: «Fatevi sorprendere dalla nuova musica»
Arciuli parla del suo ultimo libro, un pamphlet acuto ed elegante edito da Dedalo
Pianista di casa in America come nei maggiori teatri italiani, a suo agio con il repertorio classico-romantico e con quello contemporaneo, del quale è diventato nel tempo uno dei maggiori interpreti, Emanuele Arciuli è una rara figura di artista e intellettuale della musica che dispiega la sua attività ad ampio spettro, insegnando al Conservatorio di Bari, suonando e riflettendo sul suo lavoro. «La musica è una forma di pensiero. Sempre»; oltre all’emozione e alla bellezza, c’è un «pensiero» della musica, scrive Arciuli nel suo ultimo libro, un pamphlet agile e molto acuto intitolato La bellezza della nuova musica (pp.80, euro 11.50) pubblicato dall’editore Dedalo nella sua nuova collana «Le grandi voci», che si occupa delle questioni del presente.
Arciuli, nel libro lei sostiene che oggi nel mondo si scrive e si suona molta musica fantastica, più o meno difficile, ma comunque perfettamente in grado di rappresentare o raccontare il suo tempo. Ma il pubblico non lo sa, crede che la musica contemporanea «colta» sia per definizione ostica, e che la musica di oggi sia solo jazz, rock, hip hop, elettronica... Dice anche che «la guerra è finita». Di che guerra parla?
«Di una guerra culturale che negli anni del secondo dopoguerra si è combattuta senza esclusione di colpi nel mondo della musica. Una guerra animata dall’azione rivoluzionaria delle avanguardie, che prefiguravano un mondo sonoro completamente diverso nel quale melodia, armonia e ritmo tendevano a sparire, quanto meno come elementi facilmente riconoscibili. Nella musica dei campioni di quelle avanguardie, penso a musicisti come Stockhausen, Boulez, Maderna, Berio, nati all’interno della tradizione colta europea, tutto era molto astratto, finalizzato a creare strutture musicali complesse. La loro è stata una provocazione e un’avventura artistica coraggiosa, di grande forza intellettuale, ma che non ha mai convinto il pubblico della musica classica né ha fatto davvero breccia in un nuovo pubblico, quello che negli stessi anni coltivava con maggior piacere il jazz o il rock. Questo ha fatto sì che a lungo andare, nel senso comune, tutta la musica classico-contemporanea venisse sospinta invariabilmente nel passato, considerata nel migliore dei casi un patrimonio da preservare, mentre la musica di oggi, quella che esprime il nostro tempo, fosse appunto il pop o l’elettronica».
Le avanguardie hanno perso la guerra, insomma?
«Io direi che l’hanno vinta proprio perdendola. Cioè esaurendo la loro funzione di stimolo al rinnovamento. Le avanguardie hanno lasciato un segno profondo nella musica che si scrive oggi, tutta la musica; basti pensare alla lezione di Stockhausen per la musica elettronica che si fa oggi. Ma i compositori attuali hanno ripreso a confrontarsi con il loro tempo, e quindi anche con le varie musiche popolari del loro tempo, come i grandi compositori del passato hanno sempre fatto. E non parlano solo la lingua del radicalismo, hanno ripreso a scrivere musica capace di piacere, di dare emozioni, di parlare di oggi».
C’è un punto di svolta in questa storia?
«Beh, prima John Cage e poi il minimalismo hanno segnato una rottura dei paradigmi delle avanguardie. Io trovo ad esempio che Philip Glass sia un compositore molto moderno, che è riuscito a rendere popolari delle forme di pensiero e delle conquiste musicali estremamente sofisticate».
Vogliamo fare qualche nome da consigliare a un neofita che voglia esplorare il campo?
«Intanto perfino un compositore come Sciarrino, all’apparenza così astratto e complicato, offre dei momenti di pura bellezza; basta essere disponibili a scoprire il nuovo e a farsene stupire. I nomi potrebbero essere tanti; ad esempio, il sessantenne Michael Daugherty, con il quale ho avuto la fortuna di lavorare, o anche più giovani come Nico Muhly o l’islandese Anna Thorvaldsdottir».
Quali consigli darebbe a un giovane ascoltatore?
«Farsi sorprendere, riascoltare, cercare di capire. E non fermarsi a un solo modello. Io ho ascoltato di tutto, non solo Beethoven: dal progressive rock degli anni Settanta al jazz. Bill Evans è il mio preferito in assoluto, ho amato Monk, suonato partiture di Carla Bley e Chick Corea, e trovo che Brad Mehldau sia un pianista davvero pazzesco».
I «nuovissimi» L’americano Nico rMuhly o l’islandese Anna Thorvaldsdottir