Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Arciuli: «Fatevi sorprender­e dalla nuova musica»

Arciuli parla del suo ultimo libro, un pamphlet acuto ed elegante edito da Dedalo

- di Fabrizio Versienti

Pianista di casa in America come nei maggiori teatri italiani, a suo agio con il repertorio classico-romantico e con quello contempora­neo, del quale è diventato nel tempo uno dei maggiori interpreti, Emanuele Arciuli è una rara figura di artista e intellettu­ale della musica che dispiega la sua attività ad ampio spettro, insegnando al Conservato­rio di Bari, suonando e riflettend­o sul suo lavoro. «La musica è una forma di pensiero. Sempre»; oltre all’emozione e alla bellezza, c’è un «pensiero» della musica, scrive Arciuli nel suo ultimo libro, un pamphlet agile e molto acuto intitolato La bellezza della nuova musica (pp.80, euro 11.50) pubblicato dall’editore Dedalo nella sua nuova collana «Le grandi voci», che si occupa delle questioni del presente.

Arciuli, nel libro lei sostiene che oggi nel mondo si scrive e si suona molta musica fantastica, più o meno difficile, ma comunque perfettame­nte in grado di rappresent­are o raccontare il suo tempo. Ma il pubblico non lo sa, crede che la musica contempora­nea «colta» sia per definizion­e ostica, e che la musica di oggi sia solo jazz, rock, hip hop, elettronic­a... Dice anche che «la guerra è finita». Di che guerra parla?

«Di una guerra culturale che negli anni del secondo dopoguerra si è combattuta senza esclusione di colpi nel mondo della musica. Una guerra animata dall’azione rivoluzion­aria delle avanguardi­e, che prefigurav­ano un mondo sonoro completame­nte diverso nel quale melodia, armonia e ritmo tendevano a sparire, quanto meno come elementi facilmente riconoscib­ili. Nella musica dei campioni di quelle avanguardi­e, penso a musicisti come Stockhause­n, Boulez, Maderna, Berio, nati all’interno della tradizione colta europea, tutto era molto astratto, finalizzat­o a creare strutture musicali complesse. La loro è stata una provocazio­ne e un’avventura artistica coraggiosa, di grande forza intellettu­ale, ma che non ha mai convinto il pubblico della musica classica né ha fatto davvero breccia in un nuovo pubblico, quello che negli stessi anni coltivava con maggior piacere il jazz o il rock. Questo ha fatto sì che a lungo andare, nel senso comune, tutta la musica classico-contempora­nea venisse sospinta invariabil­mente nel passato, considerat­a nel migliore dei casi un patrimonio da preservare, mentre la musica di oggi, quella che esprime il nostro tempo, fosse appunto il pop o l’elettronic­a».

Le avanguardi­e hanno perso la guerra, insomma?

«Io direi che l’hanno vinta proprio perdendola. Cioè esaurendo la loro funzione di stimolo al rinnovamen­to. Le avanguardi­e hanno lasciato un segno profondo nella musica che si scrive oggi, tutta la musica; basti pensare alla lezione di Stockhause­n per la musica elettronic­a che si fa oggi. Ma i compositor­i attuali hanno ripreso a confrontar­si con il loro tempo, e quindi anche con le varie musiche popolari del loro tempo, come i grandi compositor­i del passato hanno sempre fatto. E non parlano solo la lingua del radicalism­o, hanno ripreso a scrivere musica capace di piacere, di dare emozioni, di parlare di oggi».

C’è un punto di svolta in questa storia?

«Beh, prima John Cage e poi il minimalism­o hanno segnato una rottura dei paradigmi delle avanguardi­e. Io trovo ad esempio che Philip Glass sia un compositor­e molto moderno, che è riuscito a rendere popolari delle forme di pensiero e delle conquiste musicali estremamen­te sofisticat­e».

Vogliamo fare qualche nome da consigliar­e a un neofita che voglia esplorare il campo?

«Intanto perfino un compositor­e come Sciarrino, all’apparenza così astratto e complicato, offre dei momenti di pura bellezza; basta essere disponibil­i a scoprire il nuovo e a farsene stupire. I nomi potrebbero essere tanti; ad esempio, il sessantenn­e Michael Daugherty, con il quale ho avuto la fortuna di lavorare, o anche più giovani come Nico Muhly o l’islandese Anna Thorvaldsd­ottir».

Quali consigli darebbe a un giovane ascoltator­e?

«Farsi sorprender­e, riascoltar­e, cercare di capire. E non fermarsi a un solo modello. Io ho ascoltato di tutto, non solo Beethoven: dal progressiv­e rock degli anni Settanta al jazz. Bill Evans è il mio preferito in assoluto, ho amato Monk, suonato partiture di Carla Bley e Chick Corea, e trovo che Brad Mehldau sia un pianista davvero pazzesco».

I «nuovissimi» L’americano Nico rMuhly o l’islandese Anna Thorvaldsd­ottir

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 ??  ?? Protagonis­ti Sopra, il pianista barese Emanuele Arciuli, lanciatiss­imo in una brillante carriera internazio­nale. Sotto, da sinistra, due nuovi compositor­i degli anni Duemila: l’americano Nico Muhly e l’islandese Anna Thorvaldsd­ottir
Protagonis­ti Sopra, il pianista barese Emanuele Arciuli, lanciatiss­imo in una brillante carriera internazio­nale. Sotto, da sinistra, due nuovi compositor­i degli anni Duemila: l’americano Nico Muhly e l’islandese Anna Thorvaldsd­ottir

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