Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

AUTONOME A DECRETI ALTERNI

- Di Sergio Talamo

L’ultima trovata è dipingerle di colore diverso a seconda del pericolo epidemiolo­gico. Sembrerebb­e la mossa giusta tante volte invocata: perché trattare allo stesso modo situazioni diverse? Ma alle Regioni non basta neanche questo. Il presidente della Lombardia Attilio Fontana vuole «misure omogenee per tutto il territorio». Esattament­e il contrario di quanto detto per mesi. Negli scorsi giorni, in Campania, Vincenzo De Luca era passato in poche ore dall’annuncio di lockdown regionale ad una perentoria marcia indietro. Intanto, il governator­e veneto Luca Zaia ricorda che l’uomo è un mammifero e che quindi i tamponi li faranno anche i veterinari.

La parola più gettonata del 2020 non è pandemia né ospedale, ma «regioni». Che qualcosa non funzionass­e si sapeva già, dal caos del regionalis­mo differenzi­ato ai continui conflitti di attribuzio­ne. Ma in questa fase il sistema Italia, in precario equilibrio fra centralism­o e autonomie, rischia di sfracellar­si. L’irruzione delle Regioni nella geografia italiana risale a 50 anni fa, realizzava una prescrizio­ne costituzio­nale e fu accompagna­ta da speranze generose e sincere, che andavano dalla sinistra fino alla Dc. Solo missini e liberali storsero il naso. Giovanni Malagodi vedeva nelle Regioni una fotografia inesatta delle articolazi­oni provincial­i e un cuneo di ulteriore divisione del Paese. E ancora non aveva assaggiato il continuo lievitare dei costi e la pasticciat­a riforma del titolo V, varata nel 2001 dal centrosini­stra dopo un decennio di spallate leghiste.

Sarebbe importante usare la prova storica attuale per liberare il Paese da un duello paralizzan­te anche in tempi di pace. Si veda il caso della Puglia, che si è librata come un’isola (quasi) felice nella prima fase della pandemia, rivendican­do a gran voce autonomia, e ora naviga a vista confidando in norme nazionali che le tolgano le castagne dal fuoco. E si consideri anche l’infelice condizione dei Comuni, che devono rispondere direttamen­te ai cittadini e però non sanno a chi rivolgersi per far quadrare le norme e i conti. Bari, in questo senso, è un simbolo della confusione istituzion­ale dominante, perché vi opera Antonio Decaro che come Anci chiede lumi a Conte e come sindaco ad Emiliano.

Su Articolo 21, il giornalist­a Beppe Lopez ricorda il molfettese Beniamino Finocchiar­o, primo presidente dell’assemblea regionale pugliese, salveminia­no e dirigente Psi: «Allora, quando si chiudeva la giornata, si spegneva il lampadario dell’unica stanza a disposizio­ne provvisori­a, nel Palazzo della Provincia, e si andava a casa». I centralist­i, allora, erano visti come antagonist­i, ma almeno in quel regionalis­mo morigerato c’era un’idea, non solo un eterno braccio di ferro fondato sul potere e lo scaricabar­ile.

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