Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
AUTONOME A DECRETI ALTERNI
L’ultima trovata è dipingerle di colore diverso a seconda del pericolo epidemiologico. Sembrerebbe la mossa giusta tante volte invocata: perché trattare allo stesso modo situazioni diverse? Ma alle Regioni non basta neanche questo. Il presidente della Lombardia Attilio Fontana vuole «misure omogenee per tutto il territorio». Esattamente il contrario di quanto detto per mesi. Negli scorsi giorni, in Campania, Vincenzo De Luca era passato in poche ore dall’annuncio di lockdown regionale ad una perentoria marcia indietro. Intanto, il governatore veneto Luca Zaia ricorda che l’uomo è un mammifero e che quindi i tamponi li faranno anche i veterinari.
La parola più gettonata del 2020 non è pandemia né ospedale, ma «regioni». Che qualcosa non funzionasse si sapeva già, dal caos del regionalismo differenziato ai continui conflitti di attribuzione. Ma in questa fase il sistema Italia, in precario equilibrio fra centralismo e autonomie, rischia di sfracellarsi. L’irruzione delle Regioni nella geografia italiana risale a 50 anni fa, realizzava una prescrizione costituzionale e fu accompagnata da speranze generose e sincere, che andavano dalla sinistra fino alla Dc. Solo missini e liberali storsero il naso. Giovanni Malagodi vedeva nelle Regioni una fotografia inesatta delle articolazioni provinciali e un cuneo di ulteriore divisione del Paese. E ancora non aveva assaggiato il continuo lievitare dei costi e la pasticciata riforma del titolo V, varata nel 2001 dal centrosinistra dopo un decennio di spallate leghiste.
Sarebbe importante usare la prova storica attuale per liberare il Paese da un duello paralizzante anche in tempi di pace. Si veda il caso della Puglia, che si è librata come un’isola (quasi) felice nella prima fase della pandemia, rivendicando a gran voce autonomia, e ora naviga a vista confidando in norme nazionali che le tolgano le castagne dal fuoco. E si consideri anche l’infelice condizione dei Comuni, che devono rispondere direttamente ai cittadini e però non sanno a chi rivolgersi per far quadrare le norme e i conti. Bari, in questo senso, è un simbolo della confusione istituzionale dominante, perché vi opera Antonio Decaro che come Anci chiede lumi a Conte e come sindaco ad Emiliano.
Su Articolo 21, il giornalista Beppe Lopez ricorda il molfettese Beniamino Finocchiaro, primo presidente dell’assemblea regionale pugliese, salveminiano e dirigente Psi: «Allora, quando si chiudeva la giornata, si spegneva il lampadario dell’unica stanza a disposizione provvisoria, nel Palazzo della Provincia, e si andava a casa». I centralisti, allora, erano visti come antagonisti, ma almeno in quel regionalismo morigerato c’era un’idea, non solo un eterno braccio di ferro fondato sul potere e lo scaricabarile.