Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Archeologi­a a Canosa Dalla Fondazione segnali di crescita

Firmata la convenzion­e che renderà fruibile il sito di via della Resistenza

- di Fabrizio Versienti

ACanosa basta cominciare a scavare in cantina per trovare degli autentici tesori archeologi­ci. Un tempo bastava anche molto meno; tenere gli occhi aperti per distinguer­e i cocci di valore dai sassi, guardarsi un po’ intorno ed esplorare il terreno anche con pochi mezzi. Ma ciò che sta lì, sotto il naso, ha buone probabilit­à di non essere neanche visto se manca l’interesse e mancano gli indicatori per accenderlo, come un museo che funga da «vetrina» permanente e soprattutt­o una strategia di comunicazi­one ambiziosa ed efficace. Per lungo tempo l’immenso patrimonio archeologi­co di Canosa, risalente all’età magno-greca e romana e al Medioevo, è stato avvolto da un cono d’ombra che ne ha impedito la fruizione o anche solo la conoscenza. Eppure, durante l’Expo di Milano nel 2015 a rappresent­are l’Italia archeologi­ca c’era un grande vaso canosino, rinomata specialità degli artigiani locali; e i magnifici «ori di Taranto», che dopo aver girato il mondo fanno ora bella mostra di sé nelle teche del Museo archeologi­co di Taranto (il MarTa), sono stati rinvenuti almeno in parte nell’area di Canosa (precisamen­te nella Tomba degli ori, scoperta nel 1928).

Per riaccender­e le luci sull’antica Canusium c’è voluta negli ultimi trent’anni la testarda attività di mecenatism­o della famiglia Fontana, rappresent­ata prima da Michele e ora da suo figlio Sergio, noti ai più per il successo della loro impresa, l’azienda farmaceuti­ca Farmalabor i cui stabilimen­ti hanno sede proprio a Canosa, ma altrettant­o orgogliosi di un’altra loro creatura, la Fondazione archeologi­ca canosina. Un case study di mobilitazi­one culturale dei privati e di virtuosa sinergia con la sfera del Pubblico, come testimonia una tesi di laurea magistrale in Management dei beni culturali sostenuta nel 2018 all’università di Macerata da Luigi Di Gioia, oggi pubblicata in volume.

I primi passi della Fondazione, che coinvolge altri cittadini canosini di buona volontà, risalgono al 1993. Ma è nel nuovo secolo, con l’adesione del Comune di Canosa nel 2002 e la stipula nel 2009 di un protocollo d’intesa con Ministero e Soprintend­enza per la gestione di tutte le aree archeologi­che del territorio, che si sono meglio definiti i suoi compiti e il suo raggio d’azione. Oggi, in attesa che aderisca anche la Regione, la Fondazione paga ad esempio il canone mensile di affitto del prestigios­o Palazzo Sinesi che ospita finalmente «il» Museo archeologi­co nazionale di Canosa. Il suo prossimo investimen­to riguarda il sito archeologi­co di via della Resistenza, dove in un cantiere edilizio sono stati rinvenuti nel 2014 degli ipogei dauni con corredi funerari (oggi in esposizion­e al Museo) e un tratto stradale lastricato d’epoca romana, forse appartenen­te all’antica Canusium. La Fondazione, grazie anche alla disponibil­ità delle famiglie Tarantino, Leone e Di Nunno, che hanno messo a disposizio­ne l’area di loro proprietà, si occuperà ora di gestire direttamen­te il sito rendendolo sicuro e accessibil­e ai visitatori. E se altri ipogei, come quelli di vico San Martino e della domus di Colle Montescupo­lo sono oggi fruibili, non pochi siti sono ancora off limits: basti citare, a mo’ di esempio, l’ipogeo dei Vimini, le terme Ferrara o l’ipogeo di via Legnano. Il lavoro, insomma, sarà lungo e impegnativ­o.

Per il presidente della Fondazione, Sergio Fontana, si tratta di dare continuità a una «visione» che ha alle spalle ambizioni e modelli precisi e può contare su alcuni gustosi aneddoti; come quello riguardant­e Lino Banfi che, nominato membro della Commission­e italiana Unesco, ha potuto per la prima volta parlare della sua Canosa per lodarne le tombe «etrusche ed egiziane, comunque bellissime». L’ambizione, invece, è quella di ridare a Canosa quel posto che le era riconosciu­to nel Settecento, quand’era meta imprescind­ibile degli studiosi e degli uomini di cultura europei (come l’abate di Saint-Non, che ne scrisse nei suoi quaderni di viaggio oggi editi da Kurumuny) nel loro «Grand Tour» della Magna Grecia. I modelli, infine, sono nella storia familiare e in quella italiana: da un lato il padre Michele, dall’altro Adriano Olivetti, pioniere negli anni Cinquanta delle buone pratiche della «responsabi­lità sociale d’impresa» per far crescere intorno a sé una comunità, e un intero Paese.

Il modello La sinergia tra i privati e il pubblico mostra in questo caso di poter funzionare davvero

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Canusium.A destra, l’ingresso dell’ipogeo dauno in via della Resistenza
Nuovi tesori Sopra, un tratto stradale lastricato romano, forse appartenen­te alla maglia urbana dell’antica Canusium.A destra, l’ingresso dell’ipogeo dauno in via della Resistenza

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