Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Dai parchi alla musica Così una città orgogliosa prova a risorgere
Per trent’anni lo slogan «Fare rete» ha tenuto in ostaggio forum elettorali, eventi pubblici e privati
Passato inosservato a causa della pandemia, l’anno che sta per chiudersi celebrava il trentennale del Pic Urban: acquazzone di denaro pubblico precipitato su 13 città, tra cui 3 pugliesi (Genova, Venezia, Trieste, Roma, Napoli, Salerno, Foggia, Bari, Lecce, Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Siracusa Cagliari), per riqualificarne le periferie. Limitandoci ai benefici che ne trasse Foggia, allora come ora la parola d’ordine fu «fare rete». Per trent’anni questo slogan ha tenuto in ostaggio dibattiti, campagne elettorali, manifestazioni pubbliche e private. In una provincia in cui fibra e nuove tecnologie coprono a stento il 10% dei suoi 61 comuni, il paradosso che da sempre gonfia il petto di amministratori, imprenditori e ultimamente accademici è «fare rete».
Tra qualche settimana sarà pubblicata la classifica della «Qualità della vita» de Il Sole 24 Ore, che per l’ennesima volta restituirà della Capitanata la tragica realtà di ultima tra le ultime. Molto probabilmente anche a questo responso, impietoso allo stesso modo ormai da tre lustri, i foggiani risponderanno che bisognerebbe «fare rete». Invece la verità andrebbe cercata nella prima parte di quello slogan. Bisognerebbe fare. Fare da soli, per conto proprio, senza aspettare la generosità e la condivisione di nessuno. Dopo tante medicine assunte senza alcun esito, il rilancio della Capitanata potrebbe risiedere in un sano egoismo costruttivo, in un moto d’orgoglio individuale non finalizzato all’isolamento ma alla consapevolezza, non punitivo bensì formativo. Basta consociativismi, giochi di sponda, appelli disperati per ottenere le mance di questo o quel governo, la Capitanata avrebbe bisogno di un elettroshock culturale che le permetta di emanciparsi da quegli acquazzoni di denaro pubblico (peraltro sempre più rari) a cui è attaccata come a un respiratore artificiale. Non c’è più rete, anzi non c’è più tempo per intercettare l’empatia di nessuno. Foggia potrebbe scuotersi dall’atrofia che la paralizza solo con una presa di coscienza che la proietti oltre la retorica del territorio disagiato, fuori dalla narrazione di luogo che in perenne cerca d’autore. C’è un bisogno disperato di fare. Fare e basta, possibilmente senza più parlare.
E siccome questa energia vitale ce l’hanno soprattutto le periferie, l’auspicio è che dai comuni e dai territori più confinati arrivi la spinta per scrollarsi di dosso questa attesa antistorica. Altrove è successo, la disperazione degli ultimi ha finito per salvare i primi. La rinascita della Capitanata – per chi ancora ci crede, e sono rimasti davvero in pochi – potrebbe venire da lì, da quelli ai quali era stato promesso che li avrebbero agganciati a una rete. E purtroppo ci hanno creduto. Siate voi la rete, siate voi le mani bagnate che sfiorano la presa di corrente.
La strategia
La Capitanata deve rilanciarsi con un sano egoismo costruttivo, in un moto d’orgoglio individuale non finalizzato all’isolamento