Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Sperimentiamo altri modelli educativi Basta classi pollaio»
BARI «Come famiglie siamo grate ai giudici amministrativi per aver affermato la supremazia del Dpcm. Le scuole le chiude solo il Governo. E lasciarle aperte non è, come dice il professor Lopalco, una posizione ideologica. Per noi è di rilevanza pedagogica e sociale. Ora si lavori tutti insieme per sperimentare modelli organizzativi di didattica in presenza. La Puglia potrebbe diventarne laboratorio». Terry Marinuzzi, portavoce del movimento «La Scuola che vogliamo-Scuole diffuse in Puglia», non nasconde la soddisfazione per la decisione del Tar, ma rilancia «interventi mirati». Resta tutto immutato.
«Noi come movimento abbiamo deciso di non infilarci in questo braccio di ferro perché ci interessa di più la risoluzione del problema. Dire “fate la scuola in Dad” è la soluzione più rapida, ma non è la soluzione più giusta. Quella non è scuola, è solo un intervento di emergenza. La scuola ha una sua dimensione di socialità e di continuo apprendimento.
Non si possono fare stop and go. Sarebbe come dire a un bimbo di 12 mesi “smetti di camminare, poi tra un anno ci rivediamo”».
Dov’è il vero limite di una scuola tra didattica Did e Dad?
«Con l’attuale ordinanza vanno in presenza gli alunni di famiglie che hanno i mezzi. Quelle che ne sono sprovviste nemmeno li mandano i figli a scuola, nemmeno li seguono da casa. La didattica a distanza presuppone la presenza di un adulto che assista da casa lo studente collegato. E sappiamo bene che le famiglie più fragili spesso non hanno né tempo né voglia».
Come si risolve questa situazione?
«Il virus ci sta mettendo davanti agli occhi la necessità di nuovi modelli organizzativi. La nostra posizione è quella di lavorare insieme affinché ci siano più docenti per alleggerire le classi. Le classi da 28 studenti non vanno bene. Come può un insegnante seguire tutti i ragazzi su uno schermo e tenerli collegati su una piattaforma che regge al massimo sei connessioni simultanee? Si faccia presto altrimenti il prossimo 4 marzo, a un anno dalla chiusura della scuola, ci troveremo con dei figli andati in classe solo per sei settimane».