Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Uno sguardo sul lavoro e le sue trasformazioni
È
in programmazione martedì 24 novembre al Torino Film Festival il nuovo lungometraggio di Fabrizio Bellomo, dal titolo Film (nella stessa sezione dove si presenta Pino, l’altro prodotto pugliese dedicato a Pino Pascali, firmato da Walter Fasano). Un diario, lo definisce l’artista barese, un repertorio di appunti, di video, di conferenze, di telefonate, di materiali vari, focalizzati su uno dei temi portanti della sua ricerca: il lavoro e le sue trasformazioni, dal fordismo al digitale seguendo le sorti delle fabbriche chiuse o trasferite all’estero o, ancora, convertite in attrazioni turistiche. In dieci anni, Bellomo ha cercato questi luoghi in una campionatura europea, dall’Italia degli impianti dismessi all’Albania dei disoccupati, passando per quella Serbia dove si costruisce la Fiat 500L, consegnando a installazioni e ricerche il suo pensiero sulle dinamiche del lavoro in epoca di delocalizzazioni, tra vecchie e nuove gerarchie, visibili o immateriali, dell’impresa postcapitalista. I materiali provengono, dunque, dal suo personale archivio e sono stati sottoposti a un sistemico riassetto durante il primo lockdown per farne un lungometraggio stilisticamente complesso. Dove si sente il montaggio, avrebbe detto Pasolini, incasellando sicuramente il film nel repertorio del cinema di poesia. E infatti si tratta di un lavoro su più livelli, che utilizza un linguaggio espressivo ibridato da sovrascritture, da una fotografia fascinosamente grezza per veicolare un messaggio ruvido e eticamente spesso. Sono cinque i capitoli di una narrazione che, sebbene attraversi le opere prodotte nell’arco di questo decennio, bypassa elegantemente l’autoreferenzialità, per indirizzarsi con matura determinazione verso la messa a fuoco di tematiche familiari all’autore ma di respiro plurale. Per esempio, la catena di montaggio e tutto il corollario a essa associato, alienazione compresa, che l’artista trasferisce in performance collettive. Qui il contributo dei lavoratori, nella fattispecie amanuensi impegnati in un estenuante lavoro di trascrizione di pixel su un semplice quaderno a quadretti, diventa una grottesca allegoria dei tempi e dei ritmi alienanti di ogni ciclo produttivo. Ben confezionato dall’intervento autoriale, il film penetra il mondo del lavoro in permanente cambiamento per dare un senso al presente.