Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il ricordo di Matarrese «Maradona un diavolo ma gli volevo bene»
Il ricordo di Matarrese : «Il più grande di tutti però nessuno l’ha aiutato»
Se c’è uno che ha vissuto in profondità Diego Armando Maradona, sia nel suo periodo d’oro che in quello più buio, questo è stato Antonio Matarrese. Barese, presidente della Lega dal 1982 al 1987, a capo della Figc tra il 1987 e il 1996, ha conosciuto «El Pibe de oro» quando era al vertice del calcio italiano.
Presidente, se pensa a Maradona, cosa le viene in mente?
«Che è stato il migliore di tutti. Il confronto con gli altri non regge. Ma se uno arriva troppo in alto, rischia di perdere il contatto con la realtà. È stato usato, l’hanno spremuto. Ora tutti piangono, ma nessuno è stato capace di aiutarlo».
Che rapporto ha avuto con lui?
«Ci siamo confrontati spesso, anche quando lui ha sbagliato. Io cercavo solo di dargli una mano, volevo che dimostrasse il volto migliore della sua vita, che fosse un simbolo del calcio, soprattutto per i giovani. Non sempre lo capiva, ed è capitato di scontrarsi, anche aspramente».
Per quale motivo?
«È accaduto in un paio di circostanze. Per esempio quando, a quattro giornate dal termine di un campionato, chiese al Napoli di partire per l’Argentina, visto che quel finale di stagione non aveva molto da dire. Ferlaino si fece portavoce della richiesta, io risposi di no. Mi diede del dittatore, ma io facevo il presidente e c’erano delle regole da rispettare. La seconda volta fu in occasione di quel triste NapoliBari».
17 marzo 1991, fu riscontrata la positività di Maradona alla cocaina.
«Già prima di quel match in realtà Ferlaino mi aveva confessato di temere che facesse uso di droga. Fu condannato, Diego se la prese con me. Ma io non c’entravo nulla, anzi ero tra quelli che voleva aiutarlo. Avvertii profonda amarezza e angoscia. Non riusciva a liberarsi da quel fantasma».
Non solo scontri, però.
«Durante la presidenza della Figc, mi invitò al suo matrimonio. Fu una cosa che mi stupì, mi fece piacere. Lo chiamai, ringraziai ma ero davvero molto impegnato e declinai l’invito».
Quando si è imbattuto per la prima volta in Maradona?
«Era il 1982, in Spagna. Sedevo in tribuna con il presidente federale Sordillo. Arrivò Ferlaino che ci annunciò la possibilità di acquistare Maradona. Gli dissi che era impazzito, che sarebbe stata una spesa insostenibile. Mi rispose che avrebbe trovato la soluzione perché quello sarebbe stato il nuovo messia del calcio».
Così è stato, in effetti.
«E lo trattavano come tale. Ricordo una partita di coppa Uefa che si svolse a Napoli. Subito mi impressionò la differenza tra lui e gli altri. Era una divinità calcistica, ma anche una persona molto turbata».
Cosa ha rappresentato per Napoli?
«Ha lasciato il segno nel cuore dei napoletani, ed è una cosa che capisco. Gli idoli a volte coprono le amarezze del popolo. Li ho perdonati nonostante l’episodio del 1990 (ndr, molti simpatizzarono per l’Argentina, che sconfisse l’Italia in semifinale mondiale). Ho sempre avuto un rapporto speciale con questa città. E nel 1994 feci di tutto per salvare il club dal fallimento».
Quando ha incrociato l’ultima vota Maradona?
«A un congresso della Fifa, sette o otto anni fa in Ungheria. Un giovane mi si avvicinò, chiedendomi di intercedere per avere una foto con lui. Andai da Diego, il quale mi rivolse uno sguardo particolare, come di uno che avesse già capito cosa volessi. Accettò, e io ricordo quello sguardo e quel momento con molto piacere. Gli ho voluto bene. È stato un grande, ma l’hanno lasciato solo».