Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LA DOPPIA RESA SUL SIDERURGIC­O

- di Sergio Talamo

Patto è una bella parola. Il problema è capire su cosa si stipula. L’ennesimo patto che si profila sull’ex Ilva sconta un grande equivoco. Sulla carta, è un patto fra Stato e privati, fra Stato e città di Taranto, e riguarda il rilancio di un’impresa e di un territorio. In realtà, è la riedizione di una doppia resa. Lo Stato interviene nella proprietà del complesso industrial­e per ridurre al minimo il rischio d’impresa del privato. La città di Taranto, neppure consultata sul suo futuro, deve accettare la proroga a tempi indefiniti dell’avvelename­nto in cambio di promesse relative a investimen­ti e opere pubbliche. È questo il senso, neppure troppo nascosto, delle parole del presidente Conte in vista del 30 novembre, il d-day in cui Arcelor Mittal è chiamata a prendere o lasciare: un «piano di partneriat­o pubblico-privato» (l’Invitalia dell’onnipresen­te Arcuri che entra nella proprietà) e il «cantiere Taranto per la comunità che sta soffrendo: trasporto pubblico locale, riqualific­azione e riforestaz­ione della città, riqualific­azione del centro storico e dell’arsenale». Cari privati, restate al timone e penseremo noi a rischi penali ed esuberi. Cari tarantini, fateci fare e terremo il portafogli­o aperto. Pactum sceleris, lo chiamavano i latini.

Nessuno sa bene cosà ci sarà nel piano: né il Comune di Taranto, né la Regione Puglia né i sindacati. Del resto, perché mai turbare l’armonia del sacro patto con note stonate? Ad esempio, qualcuno avrebbe potuto chiedere che senso ha essere maggioranz­a di un colosso che non gestisci, così come – al contrario – essere minoranza con il solo precipuo ruolo di ripianare debiti. E che garanzie hanno i cittadini italiani (non i soli tarantini) che, una volta incassati i benefit, Arcelor Mittal non si sfili comunque. E che fine fanno le pendenze su affitti e pagamenti dei fornitori, e gli investimen­ti in manutenzio­ne e sicurezza, che la multinazio­nale franco-indiana tiene in sospeso per la intuibile ragione che, se qualcuno apre una trattativa e poi la tira in un lungo, tu nel frattempo ne approfitti per alzare il prezzo. E, più di tutto, quali sono le garanzie della “transizion­e energetica” verso l’idrogeno che ha un’estensione ventennale, mentre il presente è uno stabilimen­to che produce ai minimi e nel frattempo continua ad inquinare.

La sensazione, sullo sfondo di un’intesa che verrà siglata al solito al fotofinish, è la stessa di questi lunghi anni di agonia: il più grande produttore di acciaio al mondo che viene a Taranto per non produrre e non rischiare; lo Stato che fa la voce grossa ma alla fine cede su tutta la linea; una città ancora ferocement­e tenuta in ostaggio.

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