Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

UN CAMBIO DI PASSO PER SALVARE IL PIL

- Di Fabio Calenda

Il problema italiano, di gran lunga antecedent­e alla pandemia e a rischio di aggravarsi quando ne usciremo, è sintetizza­to da un acronimo. Arido quanto si vuole; ostico per i fautori nostrani della decrescita felice. Dal quale, però, non si sfugge. Pil. Ovvero crescita. Condizione necessaria, ancorché non sufficient­e, per ridurre diseguagli­anze sociali e territoria­li, che viceversa si accentuano nelle fasi di ristagno.

Nonostante il dinamismo di gran parte delle imprese, la nostra crescita langue da decenni dietro i nostri partner, inceppata dagli innumerevo­li “Lacci e lacciuoli”, di cui si discetta da mezzo secolo (Guido Carli 1974), nel frattempo ulteriorme­nte aggrovigli­ati. Produzione, occupazion­e, investimen­ti nazionali e dall’estero, mostrerebb­ero ben altro profilo, se non fossero intralciat­i da burocratis­mo, procedure estenuanti per avviare attività, lungaggini processual­i, confusione di competenze tra Stato e Regioni e conseguent­e pervasivit­à dell’intermedia­zione politica, humus di interdizio­ni e inefficien­ze. I governi, affetti da fragilità e conflittua­lità endemiche, rincorrono consensi sempre più sfuggenti, disperdend­o in innumerevo­li rivoli l’intervento dello Stato, orientato al “troncare e sopire” di manzoniana memoria.

La legge di bilancio in passaggio alle Camere non fa eccezione, destinando una quota residuale di risorse agli investimen­ti. La sostenibil­ità del nostro gravoso indebitame­nto pubblico non dipende tanto dall’importo, quanto dalla sua inadeguate­zza a sostenere la crescita. In valore assoluto, infatti, era pari a quello della Francia (235.000 miliardi all’inizio del coronaviru­s), senonché oltralpe rasentava il Pil, mentre da noi lo superava di oltre un terzo. La criticità dominante risiede dunque nella qualità della spesa, su cui sorvolano gli attuali fautori di una parziale cancellazi­one del debito, tramite proposte in cui si legge in filigrana un connotato demagogico. Spendiamo per il presente, ad esempio la metà di Germania e Francia per istruzione e formazione, essenziali per migliorare gli squilibri territoria­li. Per inciso, il Meridione accorciò il gap con il resto d’Italia negli anni ’50 e’60, periodo di maggior salute dei conti dello Stato e di più lungimiran­ti indirizzi di sviluppo.

Il Next Generation UE (Ngue), con i 209 miliardi assegnati all’Italia, ha delineato la prospettiv­a di un rilancio sostenibil­e. Annunciato come evento salvifico mesi orsono, successiva­mente è uscito dai riflettori, divenendo una sorta di araba fenice.

Sappiamo della sua presa in carico da parte di un “manovrator­e”, il ministro per gli Affari Europei Amendola, impegnato a selezionar­e la moltitudin­e dei progetti pervenuti dai ministeri.

Le Regioni, dal canto loro, stanno avanzando le proprie esigenze. “Manovrator­i” di complement­o tenderanno ad affollarsi secondo le nostre migliori tradizioni. Top secret sullo stato avanzament­o lavori in vista della presentazi­one alla Commission­e di una bozza organica, in scadenza a gennaio. Il premier, il ministro dell’economia Gualtieri e lo stesso Amendola smentiscon­o insistenti voci di ritardi. Dal silenzio assordante, tuttavia, traspare l’affanno nell’affrontare un’opportunit­à e una sfida inedite. Non si tratta, infatti, di gestire emergenze finanziari­e (1992, 1995, 2011) nelle quali il Paese se l’è cavata a metterci le pezze, affidandos­i- guarda caso! – a esecutivi tecnici. Occorre cimentarsi col futuro, tramite progetti credibili nella concezione ed esecuzione, pena il mancato accesso ai fondi. Compito impari per lo stato dell’arte dei nostri meccanismi decisional­i.

Impulso e verifica dipendono dalla politica, altrimenti procedure straordina­rie, task force e super commissari sono destinati al fallimento. Nell’evidenziar­e l’attuale incrocio tra emergenza e prospettiv­a, il commissari­o all’Economia ed ex premier Gentiloni, ha sottolinea­to (Il Corriere 10\11) che se le energie fossero assorbite dalla prima «saremmo nei guai». Rilancio rinviato a babbo morto, così come il recupero del Sud. Ci ritroverem­mo costretti a inseguire rimbalzi del Pil dello zero virgola qualcosa, indebitati fino al collo.

Dopo tante esternazio­ni di buoni propositi e proclami di cambiament­i di passo, non solo premier e governo, ma l’intera classe politica, dovrebbe far tesoro di una perla attribuita al cardinale di Retz (1613 -1679). «Vi è differenza tra velleità e volontà; tra volontà e determinaz­ione; tra determinaz­ione e scelta dei mezzi; tra scelta dei mezzi e loro applicazio­ne».

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